Il non comune senso del ridicolo

C’è una polemica che, in questi giorni, si è sviluppata nelle cronache locali per finire, inesorabilmente, nelle affamate edizioni nazionali (la domenica è dura, eh).
L’oggetto del discettare è il manifesto che vedete sopra: un’immagine di Hitler e la scritta “cambia style, don’t follow your leader”.
Il messaggio è talmente provocatorio da rasentare il banale. Eppure il Pd e l’associazione nazionale dei partigiani si sono intestati una battaglia per fare rimuovere i cartelloni. Capisco i partigiani – l’età e le cicatrici hanno un peso -, ma non il Pd (che pure ha le sue cicatrici).
Qual è il riverbero politico di una campagna che ridicolizza un criminale sanguinario vestendolo di rosa e invitando per di più a non seguirlo?
Cosa c’è di scandaloso nel rifarsi a modelli triti per suscitare curiosità a buon mercato?
Vado al sodo e la chiudo qui.
Che io ricordi, l’ultima campagna pubblicitaria veramente disdicevole, perché volgarmente bugiarda, fu quella del Comune di Palermo in cui si riprendevano alcuni titoli, di dubbia veridicità, dei giornali. E non mi risulta che contro il manifesto che urlava “La città più cool d’Italia? E’ Palermo” sia mai stato chiesto un provvedimento di sequestro.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

18 commenti su “Il non comune senso del ridicolo”

  1. Effettivamente più di un Hitler in versione rosa confetto e con i cuoricini,di cattivo gusto più che altro, mi da più fastidio Libero (il giornale) che regala i DVD con I discorsi di Mussolini – il duce, le parole, gli applausi- e con la modica spesa di 7,80 euro ti puoi portare a casa anche il libretto con le migliori barzellette di sempre sui comunisti.
    Libero ha una tiratura di 195.000 copie, mi pare.
    Quanto a Palermo, non voglio difendere il Comune per carità, ma è ovvio che si trattava di un grossolano errore tipografico: non dell’inglese cool si trattava ma del francese cul

  2. Mi ricordo di un’altra pubblicità cittadina infelice. Aveva a che fare con delle valigie, o comunque con articoli di pelletteria. C’era una fila di uomini nudi di tutti i colori, tra i quali un africano. Uno di questi aveva un marchio impresso a fuoco su una natica. Lo slogan era “Noi scegliamo solo le pelli migliori”, o qualcosa del genere. Insomma, più che una provocazione, una str***nzata. Non mi stupirebbe scoprire che si tratta della stessa “agenzia” pubblicitaria. Io la penso come te, Gery: dietro questa roba riposa una grande banalità, un messaggio provocatorio dilettantesco, da graffitari della scuola media, dettato dalla convinzione di sapere fare un mestiere che non si sa fare. Le provocazioni in pubblicità hanno raggiunto una tale raffinatezza diabolica, con fior di psicologi sociologi e creativi di alto livello, che pane da primi arrivati. Infatti sorrido davanti a un messaggio “per contrasto” così scontato. Mettendo da parte il cattivo gusto (e la risonanza fortuita che ha ottenuto) questa mi sembra la replica di una vecchia storia: noi palermitani in campo creativo funzioniamo davvero quando siamo spontanei e folk (vedi certi cartelli scritti a mano). Ma il più delle volte, appena azzardiamo la mossa ambiziosa e vogliamo fare “gli americani” o i “milanesi”, casca l’asino. Emergiamo con tutta la nostra approssimazione, “il vorrei ma non posso” e il provincialismo. Ci applichiamo veramente poco, credendo che quel poco sia tutto, anzi di più. Questo senza generalizzare, eh? Se no, apriti cielo!

  3. a dire il vero l’ultima campagna disdicevole è quella in cui certi faccioni ruffiani ed inquietanti, con slogan squallidi,tipo aiutami ad aiutarti alla jerry maguire, riempivano facciate intere di palazzi e porticati in tutta la città

  4. scusate l’anonimo di cui sopra sono io,causa virus il mio computer è stato resettato,ritorna a casa dopo tre giorni triste,sconsolato e vuoto…!

  5. Un pubblicitario coi cosi quadrati non ci avrebbe messo Hitler. Ci avrebbe messo CHI sappiamo noi. Quella sì che sarebbe stata una provocazione! Ma non mi va nemmeno di “spiegare” il pane a chi non ha i denti…

  6. Poi il messaggio è molto confuso. Se non bisogna seguire Hitler, perché Hitler è rosa e con il cuoricino? Se siamo noi a dover cambiare “Style”, dovremmo, al contrario, seguire quell’Hitler che simboleggia a sua volta un cambiamento di Style! Hitler in rosa mi diventa bonario e ridicolo, quindi il messaggio non mi induce a discostarmi da Hitler, ma ad accettare e condividere il suo cambiamento. E, se così non è, quale sarebbe lo “style” che devo seguire, cambiando? Il negozio, d’accordo: ma che cosa apprendo io, del negozio in questione, per essere in grado di scegliere? Questo solo per dire che per fare i pubblicitari non basta saper giocare con quattro comandi del photoshop. E che la trovata è stata buttata lì, senza un criterio. Il che mi spiega come mai quelli del pd hanno abboccato subito. Hanno uno speciale talento nell’inseguire cose senza criterio.

  7. @cacciatorino,Chi sai tu ed io forse intuisco,veste caraceni,voglio dire..sarà nano e lo style poco può fare,ma caraceni,avercene!

  8. @Cacciatorino:
    l’unica ragione è che una banalità del genere rimbalza fino in america. Poca spesa molta resa.

  9. Vale la pena leggere tutta la pagina.
    Per i più pigri, il tono è questo:

    “Bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile[35]”.

  10. Qui invece Gentilini invita la folla (che lo applaude) ad eliminare i bambini degli zingari.

  11. Ma… è posseduto da un carrettiere veneto dell’ottocento o è proprio lui così?
    P.S. DEI zingari…

  12. in ritardo di qualche giorno ho visto un manifesto fronteggiare i miei occhi “pescato siciliano”, stop. e basta,nient’altro che un enorme “pescato siciliano” scritto su sfondo azzurro marino, ma cosa ci sarà dietro un riconoscimento europeo stile doc dop etc che qualifica e garantisce il nostro pescato? un calo di vendite in sicilia del nostro pescato? o una campagna pubblicitaria disdicevole che garantisce lo sperpero di denaro ed un facile guadagno per qualcuno a ritorno zero per la comunità?

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