Giornalisti o posteggiatori?

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Quale può essere la qualità dell’informazione se il maggiore giornale dell’Isola, il Giornale di Sicilia, paga per un articolo 2,10 euro?
Pensateci bene: tra telefonate, sopralluoghi e tempo di scrittura un cronista arriva a guadagnare in mezza giornata (quando va bene) quanto un posteggiatore abusivo prende in un paio di minuti.
Ci si sbraccia e si pontifica per la libertà di informazione, si raccolgono firme, ci si scaglia contro i nemici istituzionali della verità. E, come spesso accade, ci si distrae mirando in alto quando il bersaglio è rasoterra.
Se la libertà di informazione non ha prezzo, è giusto però che abbia un costo. Molti editori hanno costruito fortune sulla buona fede e sull’ingenuità di giornalisti e aspiranti tali. Il concetto secondo il quale uno che scrive su un giornale è un privilegiato, quindi brilla di luce riflessa e non c’è bisogno di pagarlo, andrebbe inserito nel codice penale. Nel senso che spacciare per sfogo di orgoglio personale il frutto di un lavoro faticoso (e a volte rischioso) dovrebbe essere un reato come lo è vendere pasticche di ecstasy travestite da Baci Perugina.
I frutti della politica dell’informazione low-cost sono sotto gli occhi di tutti: trasmissioni a tasso di intelligenza zero, atti di killeraggio mediatico per mano di oscuri praticanti, appiattimento sulle posizioni dominanti senza rimorsi.
La morale è, come spesso accade, figlia di un ragionamento scontato: le cose pregiate costano, quelle così così no.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

32 commenti su “Giornalisti o posteggiatori?”

  1. Ma se io volessi lavorare a qualcosa di più di 2 euro a pezzo a chi mi dovrei rivolgere, cosa dovrei fare?

  2. Allora mi viene un dubbio atroce, ma forse non è un dubbio, è una certezza.
    Mettiamo caso che io abbia interesse a non fare uscire un articoletto, chessò sono un ristoratore e non voglio una cattiva recensione , in alcuni casi – giornalisti senza coscienza – offrendo diciamo 20 euro sarei a posto?!?!?!

    Penso proprio che la remunerazione bassa, in molti casi, metta in pericolo la onesta circolazione della notizia, in questo come in altri lavori.

  3. C’è anche chi la butta sull’ideologia. Una volta, quando collaboravo ancora con un noto quotidiano, un caporedattore mi disse che avrei dovuto scrivere GRATIS, visto che facevo parte della grande famiglia dei pensatori di sinistra, e la nostra era una missione, e gli ideali non hanno prezzo.
    Gli risposi: “Comincia tu. Da questo mese rifiuta lo stipendio, e io scrivo gratis”. Non so se sapete quanto becca di stipendio un caporedattore. Gery lo sa.
    Quel signore non mi rispose. Si fece una risata a denti stretti.

  4. Quando ho iniziato a fare la giornalista, all’inizio degli anni novanta, lavorando per un altro quotidiano siciliano, mi pagavano quindicimila/ventimila lire a pezzo, secondo la lunghezza. Scrivevo tantissimo, e con quella e altre collaborazioni ci campavo, e anche piuttosto bene.

  5. @cacciatorino: però il noto quotidiano di sinistra, per il quale ho lavorato anch’io, non pagava affatto male, soprattutto rispetto a quello che paga oggi il GdS.

  6. @Raffaella: Sì, questo è vero, pagava strabene. Volevo solo far notare – con questo aneddoto – come certuni con i piedi al caldo hanno pure il coraggio di fare dello spirito sul precariato degli altri.

  7. …in verità succede anche che gli ex precari si scordino di esserlo stati.
    Così come succede che fior di capi “democratici” facciano finta di non vedere, di non sentire, giocando anche ai soldatini, ogni tanto. Con sgambetti quotidiani e qualche esecuzione sommaria.Così, per sport… Ma ho giurato: solo fantastici sorrisi e pensieri di buona vita, per questo 2010.

  8. Cara Verbena, probabilmente c’è la tendenza in molti ambiti, ma, davvero, la situazione dei giornalisti è un universo a parte. E quello che descrive Cacciatorino rimane drammaticamente vero. Non ho mai capito perché se, ad esempio, si ha bisogno dell’intervento di un falegname o di un idraulico a casa, non si pensa minimamente e neppure per scherzo di non saldare la prestazione effettuata, mentre con i giornalisti spesso e volentieri si tende a rimandare, dimenticare, o, di fronte alla richiesta avanzata, atteggiarsi come se la pretese fosse davvero sfacciata! Quasi che uno chiedesse di essere pagato in natura?! Che ne so…Troppo spesso ci si ostina a sottolineare il privilegio della “ribalta” e, quindi, la fortuna toccata in sorte, che può anche sostituire il compenso. Per la carta stampata non è così, le tariffe sono quelle (vergognose) e vengono riconosciute, ma per i giornalisti che, ad esempio, vengono contattati per moderare i lavori di un convegno, presentare serate (non di cabaret) e cose del genere…sapete quant’è arduo farsi riconoscere la prestazione? Nelle riunioni apposite si dicono sempre un sacco di belle parole, sulla formazione, l’aspetto romantico di questa professione, la passione necessaria, che dà la spinta e che non ha prezzo…ci si lamenta per le inchieste che latitano, le inchieste mancanti…ma davvero sarebbe il caso di puntare l’attenzione sull’aspetto economico in senso stretto, e cominciare a consentire ai tanti giornalisti che intendono vivere di questo lavoro, di farlo in modo dignitoso, e non sentirsi precari al quadrato, precari in tutti i sensi. Grazie Gery anche per questo post, eccellente ancora una volta.

  9. Identico discorso vale per le fotografie, che vengono pagate una miseria dai giornali: del resto, con l’inquinamento di immagini che abbiamo oggi… Tra contributi all’editoria e collaboratori pagati poco o nulla, a fare un giornale al giorno d’oggi saremmo bravi un po’ tutti, o no?

  10. Fare il giornalista non è obbligatorio, figuriamoci farlo per uno che ti paga poco. Io non credo affatto che essere sottopagato sia uno stimolo o una giustificazione a vendersi e se dovessimo stilare una classifica dei “problemi” o dei “difetti” del gds non sono sicuro che quello del precariato sia da mettere al primo posto.

  11. @Anonimo:
    Il vendersi riguarda solo la personale coscienza, non c’è dubbio.
    Nulla può giustificare un tale comportamento.

    A me personalmente il gds ricorda un giornale di cronaca rosa… non so dirti perchè… e non parlo della gazzetta dello sport.

  12. …ora facciamo un piccolo sforzo e pensiamo a tutto quello che ci circonda, evitando di avere una visione giornalisticocentrica della società: e se un marito guadagna poco la moglie ha il “diritto” di prostituirsi? se il ministero abbassa troppo il prezzo di un farmaco, la ditta ha il diritto di fornire un placebo? se un docente ritiene il suo stipendio troppo basso ha il diritto di leggere in classe il giornale? Avessi ascoltato mai un giornalista, specie del gds, lamentarsi della linea editoriale con la quale si sono consentite mistificazioni ed esalatazioni colossali…

  13. “Fare il giornalista non è obbligatorio”. Una decina di anni fa me lo sono sentita dire da un collega che non aveva mai fatto un giorno di precariato in vita sua (non è un demerito. Ma a volte in certuni, è una condizione necessaria per calarsi nei panni degli altri) quando protestavo per la violenza -perché tale era e tale rimane- di uno sfruttamento senza regole. La cocciutaggine di chi vuole continuare a fare questo mestiere nonostante tutto, spesso infastidisce. Funziona così anche per molti altri mestieri, persino per quegli insegnanti o aspiranti tali, che si ritrovano a dovere elemosinare due o tre supplenze all’anno negli angoli più incredibili dell’Italia, magari persino nello squallore di certe scuole private, pur di poter fare un giorno ciò in cui credono. Caro Anonimo, non so quanti e quali giornalisti conosci. Io, quelli che non si trovano d’accordo con i loro editori con le parole e con i fatti, li conosco e li frequento persino. Non sono poi così pochi. Aggiorna la tua agenda.

  14. La miseria materiale può solo produrre miseria umana

    Mi pare che su una cosa possiamo tutti convenire: c’è una condizione di oggettiva difficoltà per chi, in Sicilia, decida o ha deciso di fare il giornalista.
    Vorrei però partire da un’altra questione, nella speranza di non apparire veniale. Citando Luigi Einaudi là dove dice che «La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica».
    Senza alcuna parafrasi, possiamo altrettanto dire che «la libertà economica è la condizione necessaria della libertà giornalistica».
    Non è certamente solo un problema di soldi, ma mi chiedo – e vi chiedo – quali margini di agibilità operativa, volendo fare un esempio concreto, può avere un cronista se, lavorando ad una inchiesta e dovendo spostarsi da una città all’altra, debba pagarsi la benzina per l’auto, le telefonate, il pranzo e via dicendo ?
    Quale agibilità operativa può avere un cronista che, pagato 2, 3 o 5 euro a pezzo – come crudelmente ci viene adesso ricordato, senza che la cosa susciti se non scandalo almeno vergogna – debba poi pagarsi una connessione ad internet, un computer, un fax, una stampante, una fotocamera digitale, la carta, un cellulare, una banca dati a pagamento, cioè i più elementari strumenti di questo mestiere ?

    Questa condizione di perenne precarietà, di perpetua miseria materiale, pregiudica, a mio modo di vedere, non solo l’accesso alla professione, ma la professionalità di chi, questa professione, decide di praticarla

    Contrariamente a quel che si pensa e a come lo si pratica, questo è un mestiere che richiede molta «formazione». Non basta stare sulla notizia, arrivare per primi, dare «buca» alla concorrenza, scrivere due cartelle piuttosto che una «breve», pubblicare un particolare che altri non hanno: il problema è anche di forma. Come si scrive. Cosa si scrive. La proprietà di linguaggio. L’uso sapiente e consapevole della parola.
    In una parola sola: qualità.

    Questa qualità deriva innanzitutto da un bagaglio culturale personale, frutto di sedimentazioni scolastiche e di esperienza sul campo, meglio ancora se è la sintesi di uno specifico percorso formativo.
    Deriva soprattutto da un continuo processo di arricchimento culturale che è fatto anche dalla lettura di giornali, riviste, libri. Dall’ascolto di musica. Dalla visione di film. Dalla possibilità di andare a teatro. Dai viaggi (da non confondere con le vacanze…) Insomma, da tutto ciò che è «cultura».
    Per carità, non è un obbligo. E’ però una «condicio sine qua non» se si pretende – e dobbiamo farlo – qualità.
    E allora, come si fa con pochi euro a pezzo, a comprare la quotidiana «mazzetta» dei giornali, e cioè dilettarsi nella cosa più piacevole che possa esserci per un giornalista la mattina, la lettura dei giornali ?
    Come si fa ?
    Eppure i più «tirano a campare». A detrimento non solo del ruolo, ma di ciò che si pubblica, e quindi della qualità dell’informazione. Ingenerando nei lettori un senso di sfiducia sull’autorevolezza dei giornali e quindi dei giornalisti.
    Nei bar ascolto una frase ricorrente tra i lettori dei quotidiani: «Ma che caspita scrive questo..». Alludendo il più delle volte ad inesattezze, imprecisioni, plateali errori, svarioni grammaticali e lessicali, giudizi lapidari, povertà e banalità di linguaggio, spesso mutuato da quello parlato non per una esigenza di intelligibilità, ma perché non si hanno altre parole per scrivere quella notizia. Dietro questo disarmante scenario c’è il più delle volte sciatteria professionale, inadeguatezza culturale, ignoranza. Mancanza di metodo. E dunque di uno spessore culturale che possa, di riflesso, essere una garanzia per il lettore.
    Non è forse la smentita, per un giornalista, la cosa nella quale non si vorrebbe mai inciampare ?
    Dovrebbe essere così, ma la lettura dei quotidiani ci dice altro.
    Non a caso oggi scrive chiunque, assecondando quella che è una esigenza degli editori. Trovare qualcuno che scriva, che riempia uno spazio vuoto. Rinnovando, giorno dopo giorno, articolo dopo articolo, quel disagio che una efficace frase di Charles Baudelaire così descrive: « Non riesco a capire come un uomo d’onore possa prendere in mano un giornale senza un brivido di disgusto»

    Il problema è, quindi, come si scrive. Cosa si scrive. E nel contesto siciliano – dominato dalla precarietà – la miseria materiale può solo produrre miseria umana.

    Non basta però limitarsi alla radiografia dei problemi, abbiamo l’obbligo di indicare soluzioni, almeno per chi, non potendo o volendo trasferirsi a a Milano o a Londra, decida di galleggiare nello stagno siciliano:

    Queste le mie:

    1) Aprire, con una risolutezza che metta in pratica anche azioni eclatanti, una vertenza con gli editori (primi fra tutti quelli che editano «La Sicilia» e «Il Giornale di Sicilia») per l’applicazione dei minimi tariffari previsti dall’Ordine, ed avendo il coraggio di impedire l’uscita dei giornali con scioperi collettivi. Significa astenersi dal lavoro anche per giorni. La fattura dei quotidiani è, per il 90%, frutto del lavoro di collaboratori esterni. Nella speranza, ovviamente, che i crumiri della bisogna (spesso, nei dibattiti salottieri, i più rigidi moralisti nell’additare le colpe degli altri) abbiano un sussulto di orgoglio e scoprano il valore della solidarietà e del mutuo soccorso
    2) Chiedere all’Ordine di evitare il «disordine», a cominciare da una ferrea applicazione dell’esclusiva professionale (legge professionale n. 69/1963, ndr)
    3) Si chieda alla Fieg quello che la politica e la società civile chiedono in questi a Confindustria in Sicilia. E cioè di espellere quegli editori che si servono del lavoro nero e sottopagato
    4) Sollecitare la Guardia di Finanza (lo dovrebbero fare la Fnsi, l’Ordine e gli istituti di previdenza) ad effettuare i controlli nelle aziende editoriali. Sarebbe un primo passo se non per cambiare lo status quo, almeno per provarci.

    Infine, a margine di queste riflessioni, mi sia consentita una digressione.

    Nino Ippolito
    Giornalista pubblicista

  15. Ma quando ho iniziato io non ci pagavano, per raccogliere le ricevute per diventare pubblicista si pagava. Solo una volta beccai un periodico 100.000 lire un articolo!!! Il giornale chiuse(sigh!)

  16. Sono un’amica di vecchia data di Nino Ippolito. E me ne vanto. Sempre e ad ogni occasione possibile. Mi piaceva ribadirlo in questo meraviglioso blog.

  17. Eppure mi ricordo che quando collaboravo io col GdS, ovvero circa 7 anni fa, non pagavano male male. Io scrivevo 1-2 pezzi a settimana, ma un aspirante giornalista scrivendone un paio al giorno poteva farsi un piccolo stipendio… oggi, se ciò può minimamente consolarvi, le cose al Nord non sono molto diverse. Al Messaggero Veneto e a Il Piccolo pagano intorno a 5 euro o giù di lì.

  18. Il problema, Vincenzo, è se dopo 10/15 anni di gavetta, che comprende sacrifici, rinunce, sogni, persino conferme professionali, il “piccolo stipendio” rimane immutato. Così, nonostante le aziende ti facciano diventare indispensabile ( e magari sei pure diventato bravo)tu arrivi a 40 anni con quelle tue 400/500 euro al mese. Senza ferie, senza malattia, ricattabile più che mai e senza futuro. Perché se ti rompi una gamba o fai un figlio, Vincè, sei fottuto. E ti va male male, al GDS come al Messaggero veneto.

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