Professionisti della disoccupazione

La foto è di Paolo Beccari
La foto è di Paolo Beccari

C’è una categoria di giornalisti che, con premeditazione, lavora sei mesi e percepisce lo stipendio per un anno.
Le regole prevedono infatti che un giornalista professionista disoccupato che lavori per sei mesi con regolare contratto a termine abbia diritto, a contratto scaduto, ad altri sei mesi di disoccupazione: in pratica gli si paga mensilmente circa il sessanta per cento dell’ultimo stipendio. E questo meccanismo può andare avanti all’infinito: sei mesi al lavoro, sei mesi di riposo, sei mesi al lavoro, sei mesi di riposo…
La conseguenza è che alcuni giovani professionisti hanno imparato a gestire con disinvoltura questa “situazione d’emergenza”, trasformandola in un reale privilegio. Provate a chieder loro di lavorare stabilmente con un fisso mensile superiore a quello che ufficialmente percepiscono e vi sentirete mandati a quel paese: tra guadagnare un tot senza muovere un dito e guadagnare di più avendo la noia di dover lavorare, cosa credete che scelgano?
Naturalmente non mi sogno di criminalizzare chi fa ricorso all’assegno di disoccupazione, ci mancherebbe (anch’io ne ho usufruito quando ero a spasso). Credo comunque che da parte dell’Ordine dei giornalisti, dell’Assostampa e dell’Inpgi servirebbe una maggiore attività di vigilanza. Anche perché chi fa questi giochetti è allergico alle regole: evade il fisco, si vende in nero al migliore offerente (che spesso coincide col peggiore interlocutore), lavora molto volentieri quando la categoria è in sciopero, insomma danneggia tutti i giornalisti (soprattutto economicamente).
Ah, quando il saprofita ha un contratto di sei mesi e un giorno, la disoccupazione si moltiplica fino ad arrivare a due anni. Tutto pagato, naturalmente.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

55 commenti su “Professionisti della disoccupazione”

  1. Dunque, il nostro F.D.G dice di stare con Roberto Puglisi ma non con l’azienda che stipendia Roberto Puglisi (I love Sicilia), dice di detestare i metodi del Giornale di Sicilia ma lavora per il Giornale di Sicilia persino la domenica (dato che si connette dal suo provider), dice di stare con Roberto Ginex e non con me quando non c’è contrapposizione tra quanto dice lui e quanto dico io.
    Insomma propone la solita frittatina sciapa delle crociate possibili a patto che le facciano gli altri.
    Se solo F.D.G sapesse o non facesse finta di ignorare qualcosa di più sul mio conto, sulle mie scelte professionali e sullo scotto che ho pagato per rendermi estraneo a malaffari e sistemi che non mi piacevano, probabilmente non si sognerebbe di accusarmi di usare la forza contro i deboli.
    Potrei usare mille argomenti per confutare le sue strampalate tesi, ma sono certo che è tempo perso.

  2. Miii, FdG, a malafiura la portasti. Tanto per rinfrescare la memoria a te e a qualche tuo collega, segnalo che gli amici di Gery (amicizia che ci onora e che dura, nonostante in molti abbiano tentato e tentino di mascariarla) hanno fondato un’azienda editoriale dal nulla, hanno assunto nell’arco di un biennio tre giornalisti con contratto a tempo indeterminato pagando regolarmente stipendi, inpgi, casagit, tfr e affini; in più pagano regolarmente e mensilmente un quarto giornalista e tre coordinatori di un sito che con un 50esimo delle risorse del Gds continua regolarmente (così come per i mensili della nostra società) a dare “buchi” ed esclusive. Il segreto sta in molti dei commenti che abbiamo letto in questo blog: nell’entusiamo e nella felicità quotidiana di fare questo mestiere, nel non guardare l’orologio quando si lavora, nell’emozionarsi quando si riesce a pubblicare qualcosa di inedito, nell’eccitarsi quando si vede il proprio nome firmare un articolo ripreso dai maggiori quotidiani nazionali. In poche parole nell’amare il lavoro che fai. Noi lo amiamo e ne siamo felici. FdG no. E’ questa la differenza.

  3. Sollecitato dalla Contessa che mi invitava a non trattare genericamente di “problema della stampa”, provo a scendere nel pozzo artesiano che raggruma sulle sue pareti diversi problemi, diversamente visibili. E’ cosa buona è giusta staffilare virtualmente quei manigoldi che campano di disoccupazione? Chissà. Certo, non è che io ne conosca così tanti. Per ottenere un sacro e mediamente durevole appannaggio previdenziale è necessario ricevere sei mesi di contratto. E non mi risulta che a Palermo ci sia abbondanza del prodotto. Dunque, enumeriamo le fasi del dramma professionale chiamato giornalismo.
    1. L’accesso alla professione giornalistica è mediata dal rapporto di collaborazione. Un collaboratore esterno guadagna dai tre ai cinque euro (quando gli va di lusso) a pezzo, nella norma. In cambio gli viene richiesta spesso una dedizione canina alla causa. La famosa “gavetta” che si traduce in un rapporto di totale servitù che può andare avanti molti anni. Il miraggio è: diventerai professionista. Io, da coordinatore di un quotidiano online, tento di rispettare i miei (bravissimi) collaboratori. Se preferiscono andare a mare e non scrivere il pezzo, mi va benissimo. Sono uomini contrattualmente liberi.
    2. Se sei bravo (o ancora meglio raccomandato) passi al livello successivo: i contratti di sostituzione. Estati roventi a farti il mazzo, col sorriso sulle labbra. L’esca adesca: diventerai professionista.
    3. Alla fine, professionista ci diventi e stappi lo spumante, perché pensi di avere risolto i problemi. Hai il tesserino. Ti si spalanca davanti l’immensa distesa del mercato.
    4. Sbaglio ci fu. Le aziende quando vedono un professionista sovente sparano. I professionisti costano. E perché dovrei aggravare il bilancio del giornale, quando un contrattista o un collaboratore possono svolgere la stessa mansione?
    5. Dice: la qualità dell’informazione? E che cos’è? Si mangia? Io lavoro in un posto strano – aggiungo per completezza – dove la qualità è uno scopo e una missione. Faccio il mio lavoro beato. E mi pagano, lo dico per notizia a F.D.G di cui apprezzo la solidarietà.
    6. Ridice: ma questi sono cavoli vostri? Nossignore, perché un’informazione lesionata nel profondo intacca, soprattutto, il diritto del lettore.
    7. Il lettore poi sbraita, si arrabbia, giudica. Ma – come dimostrano i post che ho letto fin qui – non ci azzecca quasi mai.

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