Gli eccessi di Baarìa

baaria

Ho visto Baarìa e vi scrivo quello che ne ho tratto, senza perdermi in chiacchiere.
Scenografia e fotografia sono davvero splendide.
La storia regge fino a dieci minuti dalla fine, quando Giuseppe Tornatore s’inventa un sistema di lucchetti che devono chiudere in modo forzato tutti i cancelli (forse troppi) aperti in più di due ore di film.
Baarìa soffre di due eccessi: la coralità, che spesso soffoca (o nasconde?) le maglie fondamentali della trama, e i simbolismi che dal volo iniziale del bambino allarmano lo spettatore più razionale (razionale non vuol dire appestato).
Il protagonista maschile, Francesco Scianna, è misurato e credibile: la sua interpretazione è perfetta.
La protagonista femminile, Margareth Madè, leggiadra sino alla volatilizzazione, si dimentica facilmente.
Insomma, 150 minuti di cinema italiano, di buona fattura e di cassetta: Baarìa vale il prezzo del biglietto, che è già qualcosa di questi tempi.
Però non parliamo di capolavoro.

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Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

49 commenti su “Gli eccessi di Baarìa”

  1. Caro Gery,
    sono troppo legato a Peppuccio e dunque il mio è giudizio inficiato da ragioni del cuore. Premesso ciò, concordo con te, aggiungendo:
    1) il film è fuori dalla narrativa (e dalla grammatica) cinematografica cui siamo oggi avvezzi, è altra cosa, altro pianeta; è un po’ gonfio, ridondante, troppe storie per raccontare la Storia e la Storia, così, si perde. Però, un film così… va’ fàllu…
    2) in questo, Peppuccio è un artigiano bravissimo, uno che sa ancora come far muovere le masse o come far reggere a un attore un primo piano spinto, come dirigere la troupe tecnica o chi sta davanti alla camera, che si innamora di un’inquadratura, senza estetismi eccessivi, realismo-realismo vah…
    3) i simbolismi, i lucchetti e i cancelli… E’ vero: Peppuccio è uno furbo (sa come ghermire chi sta seduto in sala) ma innocente insieme, la metafora è la sua licenza poetica, la sua naiveté, il suo sogno infantile, la sua coperta calda contro la realtà: finisce per essere retorico, convengo, ma vogliamo perdonargli questo candido vizio?
    4) “Baarìa” è un film che, grazie alle sue microstorie, recupera la dignità del “carattere”: ho trovato sublimi, fra tutti, Ficarra e Frassica che non replicano Ficarra e Frassica; Scianna è veramente bravo; la Madè ha un viso bello, intenso ma, come tutte quelle scese dalla passerella e approdate sul set, è ancora un po’ legnosa (stavo per dire, un po’ “sticchiu afflittu”).
    Sai lo choc che mi ha dato il film? Che a un certo punto (fine anni ’50, primissimi ’60) quella storia si è un po’ identificata con la mia, di storia. E’ stato un dejà-vu, ho avuto un soprassalto. Mi sono detto: minchia, che sono fatto vecchio…

  2. Baarìa scivola via per oltre due ore senza mai annoiare, grazie alla splendida messa in scena, alle piccole storie dei personaggi secondari e ai vari attori famosi che spuntano qua e là come funghi… ma alla fine del film resta poco o niente: manca una storia portante forte che lo renda indimenticabile e dei personaggi principali che non diano l’impressione di essere mutuati da chissà quale fiction televisiva… alla fine tornatore cerca di chiudere i tanti lucchetti e allo spettatore dispiace, non perché gliene freghi qualcosa di Peppino e famiglia, ma perché gli mancheranno tutti gli altri volti

  3. Senza perdermi nella mio vecchio “scarso entusiasmo” per molte imprese di Tornatore: ben fatto, splendide immagini, ma dopo venti minuti di primo tempo ho desiderato una paio di tappi per le orecchie e qualche goccia di ansiolitico per i personaggi. Perché nel cinema Tornatoriano tutti (e tutto) urlano, fanno le facce, sottolineano con smorfie, calcano e calcano fino all’indigestione? Perché nessuno sussurra? Mai un momento “a levare”, mai una pausa che dica più delle parole, mai un passo indietro rispetto al macchiettone, mai un sussurro, una sottigliezza accennata.
    Va bene, la cassata siciliana è buona, ma dopo un paio di fette non ne puoi più, specialmente se te la infilano in bocca a forza. Piacerà agli americani.

  4. Gery: nel volo del bambino, che segue alla splendida e vertiginosa corsa (ho sentito accelerare i battiti del cuore come quando da bimbetto correvo a perdifiato), ho visto Chagal e un paio di citazioni molto ben metabolizzate: il Truffaut de “Gli anni in tasca” e le riprese in studio con gli sfondi filmati di tutti i film di Hitchcock. Il taglio narrativo è quello di Leone (mi pare di poter dire che Tornatore si candida a pieno titolo come suo erede, ma non nei contenuti. Truffaut, dicevo. In chiave mediterranea e coloratissima (appassionata come nel cinema di Truffaut, ma non altrettanto algida) ho visto anche molte delle atmosfere del grande cineasta francese: e non mi è sfuggito qualche somiglianza (vaga, se vogliamo) con “I quattrocento colpi”. Anch’io avrei ristretto il fim: di una quindicina di minuti. Avrei fatto un uso meno esuberante e più sorvegliato della bellissima colonna sonora di Morricone. Forse una maggiore sintesi avrebbe aiutato a chiudere meglio e avrebbe reso più trasognata la visionarietà di certi momenti stranianti che si sono incrociati. Ho apprezzato la leggerezza ironica (molto palermitana) che ha pervaso l’intero film: alcuni momenti sono esilaranti. Ho riso spesso e spesso sono rimasto a bocca aperta come capita ai bamini colpiti da stupore. Ironia: che trovo rara, rarissima nel cinema italiano di recente produzione. Qualche difetto qua e là potevano essere riveduti e corretti: forse come quando Tornatore, riluttante, fu costretto a tagliare una bella porzione di Nuovo Cinema Paradiso. Non è un capolavoro. Ma è un gran bel film.

  5. Il fatto è che l’eccessiva carne al fuoco ha causato una certa dispersione. Non si è prodotta quella compattezza necessaria, quella sorta di déjà vu magnetico e perfetto che cattura nella visione dei grandi capolavori. E’ chiaramente una storia autobiografica – credo che Peppino Tornatore (anagramma di Tornatore:Torrenato; consonante al Torrenova del protagonista) potesse essere facilmente il ragazzo fotografo figlio del protagonista – che ambisce a divenire la storia siciliana del secolo scorso.
    L’affresco popolare risulta – credo – troppo vasto e ambizioso: sfugge a tratti cedendo al patinato, all’effetto oleografico e anche agiografico. Per esempio la visione siciliana e stemperata nella favolosità e l’anima nera, mafiosa della nostra terra, benchè affiori, sembra relegata a qualcosa quasi di accettabile, di antropologicamente al limite del “naturale”. Non emerge tutta la valenza mostruosa ed egemone della mafia.
    Eccessivo poi l’amarcord comunista nell’economia del film.
    Le citazioni Felliniane (fabbri neri e spaventosi; mutilato senza gambe come nel Satirycon di Fellini, primissimi piani dei volti, straniamenti spaziali, flashback, etc) non reggono il confronto col grande maestro e risultano didascaliche.
    La fotografia, per quanto splendida, rischia di imprigionare il film nelle “belle immagini” col loro caleidoscopio di luci dorate.
    Non emerge mai l’avvincente grumo della storia che dovrebbe prenderti allo stomaco.
    Detto questo però vorrei anche dire che ci sono lampi di pura genialità: come la fine della storia. Il bambino che esce da dietro la lavagna e ritrova l’orecchino della figlia in un cortocircuito zen del tempo e dello spazio. La capacità di penetrare nelle intercapedini dello spazio tempo per raggiungere la pura dimensione dello spirito. La mosca imprigionata nel “cuculuni” che esce viva incredibilmente. Quella mosca siamo noi, lo sentiamo e ci commoviamo. Splendide certe affermazioni, per esempio quando il padre dice al figlio: “pochi camurrii… Nuatri vuliami abbrazzari u munni cui i nostri vrazza ma avemu i vraza troppu curti…”. Splendida la mucca gigantesca che passa al guinzaglio del bambino in mezzo al paese, splendida la veggente col suo mistero carmico, splendida la storia della pietra che se colpisce le tre rocce disvela una “truvatura”.
    Invece a me è piaciuta molto anche la protagonista femminile: bella, bella.
    Il film vale sicuramente il prezzo e attualmente Tornatore è il nostro più grande maestro del cinema, anche se non ha raggiunto l’automatismo perfetto di Nuovo Cinema Paradiso o di Una Pura Formalità.

  6. @Gianni: “Ho apprezzato la leggerezza ironica (molto palermitana)”.
    Ci hai dato dentro con gli ossimori… I gusti sono gusti. Io, se una cosa non ho trovato, è proprio l’ironia. Che, come tutti sappiamo, è ben altra cosa rispetto alla freddura. Ho trovato molte freddure, questo sì. Tant’è che avrò sorriso un paio di volte in due ore. Un altro ossimoro: strepito di ironia.

  7. Giacomo: nel non abbassare mai il tono della voce, nel non sussurrare (che invece, per esempio, è tipico dello splendido cinema di Truffaut, che poco fa citavo) Tornatore confeziona un film coerente. Eccessivo. Coloratissimo. Il macchiettismo di cui si dice, non è una trovata una tantum: è la cifra, il fell rouge. Una scelta consapevole e matura. Piena di ironoia, comicità e struggimento.

  8. Ragazzi, vi prego: già “il maestro” gonfia il petto a ogni cosa che fa. Non carichiamolo di significati e citazioni esageratamente alte (Truffaut, Leone, Fellini, filosofia Zen…). Sennò nel prossimo film ci mette il doppio dei dolly. E ricordiamoci che la qualità dei veri maestri è l’umiltà di mettersi al servizio della storia, e magari spostarsi un poco dall’obiettivo quando è il momento di raccontarla. Se si tira in ballo Fellini, mi si drizzano i capelli. Fellini fece il miracolo (forse unico) di raccontare se stesso senza mai risultare invadente. E poi, mi perdonino i baarìa fans, lo spessore e la finezza e dell’artista Fellini (ironia compresa, in questo caso sì) erano di ben altra grana. Per Leone la macchina da presa era la sguattera di lusso del racconto. “C’era una volta in America” lo dimostra e lo dimostrerà finché esisterà la parola cinema.
    Inutile, il mio contegno sul caso Tornatore dura pochissimo. Chiedo venia.

  9. @Gianni: “fell”… in senso di passato remoto di fall/cadere? Rouge… come le bandiere del film di Peppuccio? Ahia. Lapsus freudiano.
    Mettiamola così: i gusti sono gusti. E a me l’amaro Montenegro con la musica di Morricone dopo un poco stufa. Non trovo più il sapore sincero.

  10. Sono delusa da questo film. Perfette le immagini e non invadente la musica. Attori scelti con sapienza e quasi tutti molto bravi (il protagonista in testa) . Ma mai un’emozione, per me. Anzi, noia dopo un’ora. Se non fossi stata in compagnia mi sarei dileguata. Per il resto, tutto troppo bozzettistico o ridondante o didascalico o di maniera, infiniti sketch da barzelletta (vedi quello della farmacia o quello del cappotto per l’Unione sovietica) e un chiasso infernale sempre e comunque. Bocciatissimo. E, per favore, non si accosti Tornatore a Leone. il confronto (solo per fare un esempio) tra “Baarìa” e il sublime (per me) “C’era una volta in America” mi fa star male solo al pensiero. Tornatore vuol fare il Leone (come a volte vuol fare il Fellini), ma a mio parere resta un pallidissimo – e tronfio – imitatore.

  11. Giacomo: divergiamo sul cinema di Tornatore. A te è piaciuto, se ricordo bene, “Una pura formalità”. Per me il migliore è “La sconosciuta”.

  12. Abbattiamo: capisco tutte le tue perplessità. Ma che Tornatore “cinematograficamente” sia l’erede di Leone è fuor di dubbio: mai nei contenuti. E “C’era una volta in America” è tra i miei dieci film preferiti in assoluto. Tornatore non è tra i miei registi preferiti. Baarìa, però, mi è piaciuto.

  13. A me è piaciuto. Ne ho apprezzato la sontuosità, i tratti epici, la cura dei dettagli, facce e personaggi. Forse per questo la storia ne esce debole. Lo spettatore è distratto da altro: le partecipazioni straordinarie, ad esempio, sono tutte ben calibrate, impreziosiscono il film ma non la sua narrazione.
    Peccato per quei dieci minuti di finale, in cui ho avuto la sensazione che il regista si sentisse costretto a chiudere tutti i conti per non deludere nessuno. La metafora della mosca, poi… suvvia!
    La Madè è bellissima, ma l’ho trovata un po’ slegata dal contesto, al contrario di Scianna.

  14. Gianni: A me era piaciuto il “Camorrista”. Punto. Peppuccio non era ancora Peppuccio, era il giovane regista Tornatore. “Nuovo cinema” (mi) resse malissimo a una seconda visione. Una pura formalità lo trovai la montagna che partorisce il topolino: più asciutto del solito, teso, ma con un finale che era una kafkata delle più ribollite. In mezzo, sbattei contro “Stanno tutti bene”, “L’uomo delle stelle”, “Malèna”… Quanto mi bastava per rendermi conto che mi trovavo di fronte a un mezzo bluff (sempre per me, sia chiaro). Un regista che mi sbaglia un momento o un film lo posso anche capire. Ma i tre film che ho citato sono per me molto, molto pacchiani. Tanto più quanto si vogliono far passare per opere d’arte. E qui entra in ballo lo spessore dello sceneggiatore e del regista. Tornatore, volendo fare un accostamento pittorico, non è Guttuso, come magari vorrebbe. In alcuni momenti è Madè (non l’attrice…). In altri, riesce a diventarmi Nino Parrucca.
    E a proposito di Guttuso, mi salta in mente la scena di Baarìa in cui al Guttuso del film, al ristorante, portano il polipo e lui si mette a fare il famoso disegno… sarà stato anche vero, ma io l’ho trovata veramente tascia, quella scena. Mi è piaciuta, di contro, la scena dell’assessore cieco che tasta il plastico del sacco edilizio. Come vedi, so apprezzare i lati buoni. Ma la contropartita di banalità sovrabbonda la mia buona volontà.
    Ma divergiamo, Gianni. Con grande serenità, inutile dirlo.

  15. Contessa: ma ha notato che la Madè, bellissima (ma bellissima sul serio,) aveva quel quid di volgare e popolano che invece, a mio avviso, non la decontestualizzava? Forse si sentiva troppo il confronto con il peso specifico di Lina Sastri e Angela Molina: chissà.

  16. Giacomo: è stato bello divergere. Però, ora basta, torniamo a volerci bene. Vogliamo parlare di “Basta che funzioni”?

  17. Non sarà un Tornatore qualunque a farci litigare. L’ultimo Allen non l’ho ancora visto. Me ne dicono meraviglie. Ti dirò.

  18. @gianni: pure per me “C’era una volta in America” è uno dei dieci film più belli della storia del cinema. Per questo e per altri motivi non riesco ad accostare Leone a Tornatore. Nel senso che Leone ha fatto una serie di film eccelsi, mozzafiato. Tornatore… beh. Non ho visto “La sconosciuta” e rimedierò, ma per il resto… “Malèna”? “L’uomo delle stelle”? “Stanno tutti bene”?
    @la contessa: concordo sui due attori principali.
    @Geri e la contessa: concordo sul finale forzato, meccanico e – anche in questo caso, ahimè – ridondante.

  19. @Giacomo: A costo di apparire conformista: l’ultimo Woody Allen è una meraviglia! Rinverdisce con una luce matura gli antichi fasti di Manhattan e Hanna e le sue sorelle, tipo.

  20. E’ come un quadro che ne contiene tanti. Ricordi, impressioni che si sovrappongono, veloci e rumorosi. Le immagini colorate e piene a volte ti accarezzano altre ti schiaffeggiano. Alla fine sei frastornato perchè tanto è stato detto e hai bisogno di tempo per recuperare le scene dense di significato. E non sono poche.

  21. anch’io voglio andare a vedere allen che finalmente torna a casa sua dopo i film fatti con le pro-loco di londra e barcellona…
    (dubbio: non è che i soldi, stavolta, glieli ha dati il consiglio di quartiere di manhattan?)

  22. @Totò: benedetto il benefattore che ha finanziato e prodotto il film di Allen. Fosse pure il capocondominio di casa Farrow! Però Match Point (londinese) finanziato dalla pro-loco di Covent Garden non era male!

  23. La verità è che a me Woody Allen piace sempre, anche quando non mi piace.

  24. @ Allegra: povero Truffaut perché chiamarlo in causa con Tornatore? Tra i due vedo una fondamentale differenza che li divide, la stessa che separa il ricordo dalla nostalgia. La stessa tra Le cinema du papa e U cinema ru nannò. Però gli va riconosciuta a Tornatore, cosi come a muccino, di perseguire una propria “politica”

  25. @fm: il florilegio di post (piccole e densisssime recensioni) dovrebbe esserti utile a capire che è un film che divide: dunque, sicuramente interessante: che non significa necessariamente bello. Degno di interesse. C’è a chi non è piaciuto e achi come me ne ha colto l’aspetto infantile (mi ha sorpreso e stupito, e mi sono ritrovato a fare considerazioni simili a quelle descritte da Totò Rizzo). Te lo consiglio al cinema: in tv perderesti la bellezza di certe scene pittoriche, il taglio narrativo ne risentirebbe (ha bisogno di uno schermo grande) e non apprezzeresti buona parte della bellezza di certe scene corali.

  26. @fm: concordo col maestro Allegra, “Baarìa” è uno di quei film che non (ribadisco non) si possono guardare in tv. Non sono di quei puristi che dicono che i film si guardano solo al cinema (con le sale di oggi, poi…). Ma questo film mai e poi mai.

    @Antoine Doinel: beh, i paragoni sono sempre azzardati. Francois e Peppuccio potrebbero essere assimilati nell’ossessione del cinema, nel feticismo dello schermo, con i dovuti distinguo, ovviamente; però paragonare Tornatore a Muccino… orrore!!! ps: ho una gran nostalgia per Jean Pierre Leaud.

    @Gianni: sì, abbiamo provato sensazioni uguali, mi sa, vedendo “Baarìa”. Maestro, che fossimo fatti… anziani tutti e due?

  27. Truffaut nella mia classifica ideale dei registi di tutti i tempi è al terzo posto. Tornatore non c’è. Questo non toglie che Tornatore abbia tentato di citare il grande cineasta francese e che in un certo senso abbia voluto far suoi (a modo suo) “I quattrocento colpi” e “Gli anni in tasca”. Con esiti che possono non piacere. Ma io non sono un purista.

  28. Personalmente riconosco in Tornatore il grande maestro Sergio Leone e Pietro Germi, il tutto condito in salsa guttusiana. Anche Godard si prodiga di citazioni, Godard simile a Tornatore?

    Totò: non li ho paragonati, ma sono quelli che esprimono un proprio mondo(un tempo chiamata politica degli autori) , quelli che appena li guardi li riconosci, quelli che hanno mestiere, quelli che riescono ad andare oltre Gibilterra, ma sono anche quelli che possono non piacere

  29. Entro ed esco in punta di piedi senza entrare nel merito del film più di tanto…Dico solo che a me è piaciuto. Sicuramente però Nuovo Cinema Paradiso è un’altra cosa. @La Contessa: la scenetta della mosca è vero…uhm, forse non ci voleva.
    Comunque, la notizia è questa: il protagonista, l’ottimo Francesco Scianna, è uguale, spiccicato, paurosamente e meravigliosamente simile a un amico mio…ma non solo nel volto, anche nelle idee, nei ragionamenti, nel modo di fare. pensate che a Marsala tutti quelli che hanno visto il film e lo conoscono (vi assicuro tanti soprattutto la prima sera) sono usciti dal cinema guardandosi negli occhi e commentando questo dato. Incredibile!!! Lui, l’alter ego (mi perdonerà) si chiama Daniele Nuccio, ed è un ragazzo molto impegnato e tenace in politica…
    C’è un altro marsalese “coinvolto” nel film in qualità di comparsa…dovrebbe essere il tipografo…è Alessio Piazza, che ha fatto la scuola di Michele Perriera a suo tempo.
    Belle le musiche del film.

  30. Gery, razionale non vuol dire appestato, vuol dire…razionale. Rischia così di perdere alcuni aspetti che (secondo me) vale la pena di sentire.

  31. @gianni allegra

    L’hai voluto tu: a chiunque, da ora in poi, mi chiederà l’età dirò: sono coetaneo di Allegra. Anzi, per restare in tema, preciserò: “Ho la stessa età de ‘L’invasione degli ultracorpi'”.

  32. Non capirò mai l’equazione Muccino = orrore. Che ha fatto di male il povero Muccino se non raccontare storie a modo proprio, esattamente come fa Tornatore? Non lo trovo eccelso, ma nemmeno da inorridire. Anche lui sa dove mettere la macchina da presa, ha idee, una sua visione del mondo e un proprio stile. Se poi dobbiamo cominciare col vecchio sport della classifica di a e di b per gli autori… be’, io sono convinto che se si fosse presentato quattro decenni fa, ancora viventi De Sica, Visconti e Rosi, lo stesso Tornatore sarebbe rientrato nella classifica di b.

  33. Muccino non mi dispiace. Sa raccontare e conosce il cinema. Non mi fa impazzire, ma è questione di gusti.

  34. Scivolone. Chiedo perdono a Francesco Rosi, erroneamente incluso tra i non più viventi. Lunga, lunghissima vita al maestro di “La sfida”, “Il Caso Mattei” , “Le mani sulla città” e altri veri, grandi, eterni capolavori.

  35. Mi “intrometto” nella discussione dopo appena 24 ore dalla visione di “Baarìa”. Libero subito il campo dai dubbi. Non sono un critico cinematografico nè un “cultore” del cinema ma semplice spettatore. Ritengo di avere visto un capolavoro e tale lo definisco nella consapevolezza di non avere strumenti per valutare sceneggiatura, fotografia, “narrativa e grammatica cinematografica”. Il giudizio è quello di un normale spettatore travolto dal turbine di sentimenti che il film sprigiona. Film certamente non drammatico, anzi a tratti comico. Se un limite vogliamo trovare, forse è quello di una eccessiva “sicilianità”, con sfumature e particolari che potrebbero non essere colte in pieno da chi siciliano non è.
    Non condivido neanche le critiche sul finale: più che “velocità nel chiudere i lucchetti delle porte (forse troppe) aperte durante il film”,ho percepito un vero e proprio “crescendo rossiniano”, un vento impetuoso di emozioni dal quale farsi trascinare. Insomma, un piccolo tesoro di ricordi, a volte confusi e “deformati” come possono essere le immaginazioni di un bimbo, di cui Tornatore ci (mi) ha reso partecipi.

  36. Ho visto il film da un paio di settimane. Ho voluto aspettare un po’, prima di scriverne una mia personale recensione, affinché decantassero le emozioni e gli spunti di riflessione. Che dire, quindi? Questo film è un sogno, in tutti i sensi. Non a caso si apre con il sogno più desiderato dallo stesso autore: il sogno di volare. Il bambino Tornatore che vola sopra la sua “Baarìa”ci porta attraverso 40 anni di storia a riflettere sul nostro passato e sul nostro presente. La Baarìa di Tornatore è “lo specchio dell’anima”, e non poteva essere quindi una storia dai canoni classici. Come i ricordi della memoria, invece, vengono sù uno dietro l’altro, a volte, magari, senza un filo logico preciso, come un sogno, dove certe incongruenze (ad esempio il personaggio di Beppe Fiorello che non invecchia mai e i due personaggi diversi affidati ad una stessa splendida Lina Sastri) ci sembrano assolutamente normali. Quelli che sembrano difetti, quindi, sono certamente aspetti pensati e voluti, apposta messi in sceneggiatura con intenti precisi, studiati e, alla fine, indispensabili nell’economia del film. Il finale, così simbolico e surreale, è pura poesia filmica. Un epopea, tratteggiata con ineguagliabile maestria, dove i personaggi, anche quelli minori (ed appunto perchè minori risaltati dalla geniale trovata di farli interpretare da popolarissimi attori), si muovono guidati con eccellenza e passione.
    Maestosa messinscena, non c’è che dire. Tornatore è maestro con la “M” maiuscola, dirige gli attori con amore, guidandoli in una epopea che ci riconcilia con il vero cinema, quello che va visto assolutamente sul grande schermo, e che visto in tv perderebbe tantissimo. Le magnifiche musiche di Morricone impreziosiscono un già magnifico gioiello di artigianato cinematografico. Ho letto paragoni con maestri del passato (Fellini, Leone, Truffaut ed altri). Non facciamo l’errore di fare paragoni. Tornatore è un altro. Anche lui maestro. Appena vedi un’inquadratura lo riconosci subito, con i suoi molteplici pregi e i suoi pochi difetti.

  37. La mia spiegazione della mosca finale
    In Baaria magia e superstizione vincono sul concetto materialistico della storia, dove il razionale = comunismo non si contrappone al capitalismo, ma all’ingenuo rincorrersi degli eventi. L’uomo che crede di emanciparsene è un illuso. Lo dimostra il fatto che l’odierno è addirittura peggiore del malinconico passato. Perciò dal mostro fabbro (che lo si vorrebbe creazione della mente o di fattura psicoanalitica) parte e vince la magia/superstizione che vorrebbe la mosca viva anche se la logica(illuminismo) non direbbe naturalmente il contrario. Per cui il film è l’analisi del fallimento di tutte le ideologie a vantaggio del sogno/magia/superstizione/mosca viva, che per Tornatore sono la stessa cosa. Ma allora si tratterebbe di gioco intellettualoide e fintamente artistico? Oppure la trottola è l’ideologia che intrappola il cuore che la renderebbe leggera?(Mosca e non mosca libera?)

  38. Ognuno avrà la sua legittima opinione sul film. Ma la sufficienza, la spocchia, il disprezzo, un senso di superiorità altezzosa nell’esprimere un giudizio sul film di uno dei più grandi registi italiani la dicono lunga. Non è tanto il “cosa” viene detto, ma il “come”. Da una parte c’è una faticosa opera cinematografica si un grande professionista che ricerca sempre contenuti profondi e poetici, dall’altra una massa di gente che si è auto-insignita del ruolo di critico cinematografico, che gioca a farlo sul web…la cosa farebbe sorridere se non fosse che questa gente ci crede davvero. Si prende sul serio. Con incredibile arroganza e presunzione. Insomma eviterò di schierarmi nel titanico scontro tra Giuseppe Tornatore e i critici del web. Ma una cosa la dico…tanto per riportare la realtà a una quota più consona. Quando andate al cinema vi fanno pagare il biglietto? Sì? Allora siete spettatori, non critici cinematografici. Il fatto che gli studios di Canale 5 non siano abbastanza grandi per contenere tutti gli aspiranti giurati e commentatori di “Uomini e donne”, “Forum” etc. e che quindi tanta abbondanza si riversi in rete non deve far perdere di vista la verità. Telespettatori. E come tali liberi di esprimere il proprio giudizio su un film…piaciuto o meno. Ma senza farsi prendere da sdoppiamenti virtuali. Volando bassi. Perché sennò, rimanendo alle metafore, si rischia di essere non la mosca, nemmeno la trottola, né l’orecchino….ma soltanto una scureggia che si annusa compiaciuta in una piccola stanza chiusa. Fellinianamente, ma anche un po’ allenianamente….arrivedorci! Alla prossima fila in biglietteria…(nel mondo reale)!!

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