Lo sconto per i furbi

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L’ultima trovata di cui si discute è lo scudo fiscale: il condono per gli evasori pentiti.  Tutti lì, i riccastri-furbastri, a farsi i conti di quanto risparmierebbero facendo rientrare in Italia i patrimoni occultati all’estero e sfuggiti alle indagini della polizia tributaria.
Personalmente trovo odiosa questa forma di condono, ancor più delle altre. Perché mette nero su bianco l’abietta discriminazione tra furbi e onesti e – questo è il guaio – dà un vantaggio ai primi che, a questo punto, attendono speranzosi un decreto legge che li autorizzi a esibire il gesto dell’ombrello a ogni posto di blocco, frontiera, confine, dogana, stazione di controllo, persino casello autostradale.
Il vantaggio della disonestà, in un Paese come l’Italia, sta nel fatto che alla lunga il crimine se proprio non rende, almeno procura uno sconto.  Lo stupido che paga le tasse, tutte, e che vorrebbe strozzare il commercialista onesto (o fesso) che gli ha compilato una lista dalla quale non può sfuggire, ha un’unica via d’uscita per scampare alla depressione: comprare un salvadanaio di terracotta e riempirlo a poco a poco di monete. Dopo averlo sistemato sullo scaffale del caveau di una banca svizzera.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

3 commenti su “Lo sconto per i furbi”

  1. I miei ultimi cinque anni da occupata li ho trascorsi in uno studio di consulenza fiscale e del lavoro. Furono gli anni del precendente condono Tremonti; non riguardava i capitali all’estero ma quelli di casa nostra. Lo studio contava centinaia di clienti e a ciascuno di noi impiegati ne era assegnato un certo quantitativo. Tra i miei c’era di tutto: il commerciante di pane e panelle (ricco, ricchissimo), l’agente pubblicitario navigato, quello con la profumeria ridotto alla fame a causa dei grandi magazzini, il grossista di abbigliamento per bambini, e qui mi fermo per non seminare troppi indizi. Clienti dal reddito piccolo, discreto, e spaziale. Il piccolo, come il dipendente, pagava tutto. Era puntuale e un pò ansioso. Quello medio pure, ma lamentandosi molto. Convinto che fosse un pò colpa del commercialista. Al riccone invece il modello F24 procurava l’orticaria. Spesso non lo ritirava neppure, ma ci teneva che conservassi con cura. Uno di loro mi portava le cartelle esattoriali per i mancati pagamenti come fossero tovaglioli di carta usati. Odiosamente affermava: “controlli Genoveffa, ci dev’essere un errore”.Allora aprivo il faldone e tiravo fuori la delega di pagamento inevasa.A quel punto la scena era grottesca: 9 volte su dieci coraggiosamente scaricavano la colpa alla segretaria. Non mi ha avvisato! Ma avevo le mie carte da giocare. Orario delle chiamate. Firma per ricevuta. Come scrive Gery, non poche volte ho immaginato le loro mani serrate sul mio collo. Poi mi capitava di vederli in giro, leggiadri e gai, un aperitivo di troppo. Al loro contenzioso con il fisco non pensavano affatto, convinti di farcela. E così è stato. Condoni tombali, concordato, cartelle esattoriali. Con pochissimo hanno cancellato i debiti con l’agenzia delle Entrate e inibito possibilità di qualunque successiva verifica. Ora arriva la verione etranger..per i soldini rimasti fuori.
    E c’è anche gente che pensa che sia il male minore, perchè se i soldi rientrano in Italia, porteranno sicuramente benefici…

  2. @Rosipa: testimonianza impietosa ma… illuminante. Nella mia ignoranza in materia, non posso che fare riferimento al solito mito americano. Pare che nella terra dei cowboy e dei coloni qualsiasi trasgressione o reato legato al fisco sia considerato un gradino sotto l’attentato alla persona. Da noi davanti ai doveri collettivi, come davanti a mille altre cose che si danno per scontate nei consorzi civili degni di tale nome, si puntano i tacchi e si storce la boccuccia. Siamo male abituati, e in mano a pessimi educatori.

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