Carta vecchia

La crisi dei giornali non è iniziata quest’anno e nemmeno quello precedente. La crisi di vendita e degli introiti pubblicitari va avanti da un decennio abbondante. Solo negli ultimi anni la si collega all’espansione di internet. In realtà il web ha bucato l’aorta della carta stampata da prima, diciamo dal 2000. Da quando cioè, drogati dall’illusione di trasformare i soldi virtuali in ricchezze reali, gli editori hanno investito nella Rete senza uno straccio di progetto: la loro idea, insulsa, era quella di trasferire metodi e regole dal cartaceo al digitale. Un po’ come pretendere che la vecchia caffettiera facesse all’improvviso cornetto e cappuccino.
E’ finita malissimo, ovviamente.
Oggi, anche a detta degli stessi addetti ai lavori, i giornali sono vecchi ancor prima di andare in stampa. E non solo per la famosa circolazione vorticosa delle notizie, ma per il menu e la scelta degli argomenti. La suddivisione in esteri, interni, politica, cronaca, spettacoli, sport, eccetera, non soddisfa più un lettore che non sente la necessità di essere alimentato a forza di news (perché è la notizia che lo insegue ancor prima di concretizzarsi). L’informazione necessita di altre categorie: geografiche, sociali, culturali.
Un direttore di giornale dovrebbe chiedere ai suoi capiredattori: cosa diamo oggi ai nostri lettori del nord? E a quelli del sud? Cosa proponiamo alle casalinghe? E ai precari? Quale artista scopriamo? Qual è lo sconosciuto di cui tutti dovrebbero sapere?
Si tratta, come capite, di rubare il mestiere a molti blogger e di armarsi dell’umiltà che serve per affermare serenamente: abbiamo troppi catorci che affollano le redazioni e abbiamo capito la differenza che passa tra un giornalista vecchio e un vecchio giornalista.
Non lo faranno mai.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

20 commenti su “Carta vecchia”

  1. Ragazzi, me le date nel cuore, come si dice a Nottingham. Ma avete ragione. E non mi fate fare il nostalgico dei tempi in cui ho cominciato, che uno – nel suo piccolo spettacolistico – se ne andava la sera per garage e malasèni e la mattina dopo, magari, gli capitava di dire – timoroso – al proprio severissimo caposervizio: “Sono stato a vedere uno spettacolino, ieri sera, grazziusu, scritto da uno bravo, fa il sarto e a tempo perso fa l’attore, un certo Scaldati..”. Sono felice di aver cominciato (e imparato) in quegli anni lì e tristerrimo per essere annegato in questi anni qui. Quella curiosità io non ce l’ho più (anche perché il lavoro da camallo genovese alle undici di sera mi schianta sul letto), il guaio è che non ce l’hanno, oggi, i ventenni sedicenti aspiranti giornalisti del copia-e-incolla.

  2. Dice bene totorizzo. L’effetto più devastante sulle giovani leve del giornalismo è il copia-incolla. Prima almeno per copiare bisognava scrivere, oggi basta un clic col mouse. E gli effetti si vedono.

  3. Le mie primissime vignette (erano strips all’americana) le pubblicai, liceale, su L’Ora nel dicembre del 1974. Frequentando quel prestigioso quotidiano mi accorsi subito, nonostante l’ingenuità e l’innocenza della mia giovanissima età, che c’erano giovani leve penose (che comunque avrebbero fatto carriera e che carriera!) e altre di grande talento (che sarebbero restate la palo). Come ora. Non c’era internet e la stampa (cartacea) ea già in crisi.

  4. No Gianni, nel 1974 la carta stampata non era in crisi. I problemi per alcuni giornali – e tra questi il L’Ora – sarebbero iniziati qualche anno dopo. Ma, ad esempio, il Giornale di Sicilia stava benissimo fino alla fine degli anni Ottanta.

  5. Un rimedio per la carta stampata potrebbe essere l’inchiesta. Genere che risulta da sempre indigesto alla maggior parte delle redazioni, con l’alibi dell’eccessivo costo che un impegno di questo tipo comporta. Sarebbe uan soluzione, una delle tante. Il blog non credo abbia, almeno come concepito oggi, il formato per il giornalismo di ampio respiro.

  6. In piena rivoluzione culturale, credo, che un buon giornalista per definirsi tale è colui che si fa leggere o ascoltare e gode della fiducia del pubblico. Per avere questa fiducia deve avere, suppongo, alle spalle un editore interessato ai gusti dei lettori più che ai poteri forti. E poi tutto cambia: la comunicazione è mondializzata e come reagiamo ai fatti, non ci scandalizziamo più di nulla.

  7. Carissimmo Gery, evoluzione progettualità editoriali viaggiano a velocità differenti: la prima calza gli stivali delle sette leghe, la seconda, ben che vada, ciabatte bucate. I giornali si marcano a uomo, cosa ormai desueta perfino nel calcio. Si controllano a distanza, si copiano, ma non innovano. E allora se a Genova va bene il “gratta e vinci”, tutti – mutatis mutandis – a fare gratta e vinci nelle zone di propria competenza. Scoppia la moda dei libri di cucina a Roma, e tutti ad allegare ricettari di tutti i tipi. Parte la caccia ai cronisti in erba, in massa ad abbozzare menabò tra i banchi di scuola. E così via discorrendo per cd, dvd, etc.
    Un meccanismo perverso – ci spiegò tempo fa un grosso dirigente di uno storico giornale del Nord, cui proponemmo in service un nostro prodotto editoriale – che porta a duplicare prodotti dal successo commerciale certo, ma effimero, piuttosto che cercare l’innovazione duratura, ma costosa.
    “Non possiamo permetterci – disse – il lusso di sperimentare né, soprattutto, di sprecare tempo e soldi in costosissime indagini di mercato. Se un’operazione va bene a Torino perché, con gli accorgimenti del caso, non deve andare bene anche qui? Specie per noi che siamo leader nella nostra area di diffusione”.
    Così il nostro “ottimo, interessante ed innovativo” progetto editoriale, finì in frigo, visto che in quel momento nessuno dei grossi giornali lo aveva ancora sposato. “Quando un paio di quotidiani avranno aderito – concluse – richiamatemi, aderiremo anche noi”.
    I giornali non innovano, riciclano. E oggi riciclano cose sempre meno accattivanti: i libri di cucina sono finiti sotto ai tavoli traballanti di ogni dove, internet ha messo in ginocchio il mercato di cd e dvd,
    i giornalisti in erba scrivono, ma, forse, non comprano nemmeno la copia che ospita il loro scoop.
    E le vendite ovviamente calano e saranno destinate a calare anche quando la crisi mollerà finalmente la presa. Se terranno i pilastri dei contributi statali e della pubblicità, bene. Altrimenti saranno dolori per molti. Il futuro, ne sono sempre più convinto, è nella stampa di nicchia.

  8. @gianni e agli altri:

    L’inchiesta, Gianni, sì, l’inchiesta, hai ragione, pratica ormai desueta. Ma io mi spingerei addirittura oltre: i giornali dovrebbero tornare a raccontare le storie, comuni o straordinarie che siano, tornare a raccontare l’uomo e non la massa indistinta della gggente e dunque delle mode, dei costumi, degli atteggiamenti omologati, fare il copia-e-incolla dalla tv. Leggete, ad esempio, il bel pezzo di Roberto Puglisi (che ogni tanto va sopra le righe poetico/metaforiche del racconto ma stavolta è sobrio e informato, pur toccando le corde del cuore) sui genitori del parà morto dieci anni fa, oggi su livesicilia.it

  9. @totorizzo
    “Quella curiosità (… il guaio è che non ce l’hanno, oggi, i ventenni sedicenti aspiranti giornalisti del copia-e-incolla”.
    Il GUAIO è che in Italia ai posti di lavoro ci sono attaccati sempre gli stessi, ed hanno l’attack sotto il culo. E spesso sono molto meno capaci dei ventenni di oggi, sicuramente più ferrati coi nuovi strumenti di comunicazione.
    Sai quanti anni hanno i 2 maggiori consulenti di Obama per i sistemi informatici? Quindici anni.
    Ma ‘u pesce fete sempre r’a tiesta. Se l’esempio è il GDS e la mirabile alternanza alla sua guida.
    Bah

  10. Concordo con Castigator: non si può fare di tutte le erbe un fascio. Ci sono anche giovani capaci e brillanti, così come vecchioni incompetenti e un po’ rinco. Per quel che mi riguarda vorrei arrivare decorosamente – intellettivamente e intellettualmente parlando – alla pensione. Dopodiché, tranquillo: l’attack me lo scollo da solo. Anzi, se proprio vuoi saperlo: ho già detto ai miei figli che, dovessi (ma non credo che accadrà) avere nostalgie (passare in redazione o farmi passare per la testa di andare a Sanremo a cottimo) o, come fanno certi colleghi ormai sulla soglia del tabùto, pietìre perché mi venga pubblicato un pezzo, di darmi una fine serena con la fialetta del dottor Morte. Lo trovo più dignitoso. Magari che mi accarezzino i capelli mentre trapasso. Nulla più.

  11. Pingback: | Gery Palazzotto
  12. “…rubare il mestiere a molti blogger…”
    Ma quali bloggher? In che universo parallelo vivi mr Gerry?

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