Il mafioso depresso

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La foto è di Ciro Spataro

La vicenda del boss mafioso depresso al quale sono stati concessi gli arresti domiciliari va affrontata, a mio parere, ricordando innanzitutto che il diritto alla salute è sancito dall’articolo 32 della nostra costituzione. Ciò dovrebbe essere utile a spazzare via ogni tentazione di fare dell’ironia e a evitare di impelagarsi in diktat estremisti.
Sono a favore del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi e i terroristi, che – va ricordato – è entrato a regime grazie al governo Berlusconi (quando è sua, è sua).
Ora il problema che si pone è questo: può un provvedimento estremo diventare meno estremo, senza perdere la sua efficacia?
Secondo me, no.
E allora che si fa quando ci si trova davanti a un caso come quello in questione?
C’è più di un valido motivo per cui un mafioso viene tenuto in isolamento: dai tempi del Grand Hotel Ucciardone a quelli degli ordini trasmessi dalle celle all’esterno via cellulare, nulla è cambiato nella capacità comunicativa degli uomini di Cosa Nostra. Il boss in gabbia deve essere neutralizzato. Tranciare i suoi rapporti è la soluzione più efficace per renderlo meno offensivo.
C’è un metodo, spesso trasversale e oggetto di polemiche, per sottrarsi a questo regime di dentenzione dura: collaborare con la giustizia.
C’è infine la possibilità di appellarsi a un tribunale se le condizioni di salute divengono incompatibili con lo status carcerario: una roulette che ogni tanto dà il numero sperato.
La tentazione di gridare “marciscano tutti in carcere” è fortissima: specie per chi è stato devastato negli affetti dalla crudeltà degli uomini del disonore. Ci vuole stomaco per leggere, senza lasciarsi prendere dall’ira, le motivazioni dei giudici che rispediscono il mafioso depresso a casa e che identificano nell’“affetto dei familiari” la terapia migliore per riprendersi e guarire. Ci vogliono una immensa coscienza civica e, per chi ce l’ha, un solido appiglio religioso per accettare che una legge possa essere meno cattiva con il cattivo in stato di difficoltà.
In questo momento ho una discreta tentazione, poco stomaco, una modesta coscienza civica, un fragile appiglio religioso.
Saranno i tempi bui.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

5 commenti su “Il mafioso depresso”

  1. Viene anche da dire che doveva essere depresso prima, per tutto quello che avrà combinato, non appena ha assaggiato la galera vera. Anch’io sulle questioni di mafia mi scopro molto poco garantista. Sono convinto che non ci sia il dovere della comprensione laddove non si è trovata traccia di umanità. Riconosco il mio limite. E me lo tengo.

  2. Non credo sia un limite in nessun caso pretendere che un boss mafioso sconti la sua pena in carcere piuttosto che a casa sua. Nessun dovere della comprensione, infatti.

    “L’ambiente familiare appare allo stato insostituibile”.
    A mio avviso, “insosituibile” dovrebbe essere la garanzia che chi ha sbagliato (di boss mafioso, si parla, non di un ladruncolo qualsiasi), paghi il suo debito con la giustizia. La depressione, pardonnez moi, mi pare il minimo…

  3. Non ho mai visitato un carcere ma ad intuito immagino che di “ospiti” malati di depressione se ne debbano incontrare parecchi. E non credo che a tutti venga concessa la possibilità di riscaldarsi tra le braccia dei familiari. Ammesso che sia questa la cura.

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