La favola del sindaco invisibile

Gianni Allegra per i lettori di questo blog
Gianni Allegra per i lettori di questo blog

Con un atto di ammirevole coraggio, il sindaco di Palermo Diego Cammarata è apparso in pubblico per raccontare alla popolazione una favola di Natale travestita da messaggio di fine anno. Coraggio sì, e anche un’indomabile fantasia. Il primo cittadino, smessi i panni magici che ne fanno un eroe dell’invisibilità, ha affrontato con determinazione tutti i punti dolenti della sua amministrazione.
I conti sballati che rischiano di portare il comune al tracollo sono un’invenzione della magistratura contabile, comunista, controrematrice e deviata (i colonnelli della P2 erano la Banda Bassotti al confronto).
Il pasticciaccio delle Ztl è stato causato dall’assenza di Put (che non è quello che potreste pensare, ma l’acronimo di Piano Urbano del Traffico): che volete che sia aver riscosso il pagamento di un balzello senza un’adeguata copertura normativa?
L’immondizia che inonda le strade è in realtà un metodo per limitare l’inquinamento: più difficile la circolazione, meno auto in giro.
L’azzeramento di manifestazioni culturali è una strategia per rilanciare l’economia dei bar (Ficarra e Picone insegnano): perché perdere tempo con una mostra quando con un paio di cocktail Martini si viaggia con la fantasia che è un piacere?
La stabilizzazione dei precari è irrinunciabile: se si mandano a casa 3.500 lavoratori che per di più tengono famiglia, come si gestisce il consenso elettorale? L’unica politica del rigore conosciuta è quella di certi arbitri che fischiano a casaccio…
Infine il sindaco Cammarata ha chiuso la sua esibizione cantando: “A mille ce n’è, nel mio mondo di fiabe da narrar…”.
Applausi e brindisi, dicono. Sul brindisi nessun dubbio.

Sms di auguri

I giorni che separano Natale da Capodanno sono una camera di decompressione per qualcosa di più pesante di pranzi e cene: gli auguri via sms.
Non sono contrario ai “messaggini”, anzi li trovo pratici. Un pensiero affettuoso in poche parole è spesso più efficace di una conversazione ammorbata da convenevoli e rinvii ad appuntamenti che, nella maggioranza dei casi, rimarranno vaghi: “Ci sentiamo la prossima settimana”… “Chiami tu o chiamo io?”… e via blaterando.
L’sms augurale è invece un concentrato di concetti, senza l’annacquamento di parole inutili. Con un semplice messaggio – azzardo, anche non personalizzato – si testimonia l’esistenza, o la sopravvivenza, del destinatario nella propria agenda telefonica, gli si dice “sei ancora nel mio elenco” nonostante il tempo, i mutati equilibri affettivi, le eventuali carognate e i cazzi propri. Selezionando “invia” si passa la palla per verificare la tenuta di una linea di amicizia, affetto o stima: starà all’altro, il destinatario, rispondere a tono, rilanciare, o ignorare benedicendo il giorno in cui ha cancellato quel numero dal suo cellulare.
Questo Natale ho ricevuto due sms che mi hanno fatto ribollire il sangue. Erano entrambi dello stesso tipo: promozionale. Un tale ha pubblicato finalmente un libro e non ha trovato di meglio che comporre un irritante slogan pubblicitario. Un altro è un consulente bancario e mi ha accomunato ai suoi clienti migliori da cui, fesso lui, si aspetta grandi cose per l’anno che verrà.
Ho eliminato i loro numeri dalla rubrica per sedare la tentazione di chiamarli e insultarli.

Buon Natale

L'illustrazione è di Gianni Allegra

Auguri!!!

Aggiornamento. Cliccate qui per vedere il regalo di Verbena al sottoscritto, a Giacomo Cacciatore e a Raffaella Catalano

Un cuore di cartone (animato)

di Cinzia Zerbini

Lo aspettavo da mesi e finalmente è nelle sale: Madagascar 2 . Straordinario, così come gli altri cartoni animati che escono a Natale.  Amo i film d’animazione. Ma adoro anche rivedere Sette spose per sette fratelli, Mary Poppins, Il maggiolone e via dicendo. Di recente nella top ten dei miei cartoni preferiti è entrato Kung fu Panda, ma nel mio cuore c’è e ci sarà sempre Il Gobbo di Notre Dame, colonna sonora inclusa. Anzi, colonne sonore incluse e chiuse nel mio iPod. Ascoltare il canto d’amore di Frollo alla bella Esmeralda guardando il mare –  possibilmente d’inverno – è un incanto.  Io mi emoziono con e per poco, così non aspetto altro che Natale per poter lasciare andare il mio lato S (sensibile).  E poi Il Piccolo Lord… quando la madre sbuca dall’albero di Natale e abbraccia l’ex suocero “già cattivo”  è il trionfo dell’emozione.  C’è tutto: la festa, l’amore filiale, il bene, il perdono, il futuro.
Dal 23 dicembre al 3 gennaio non si discute: l’amore, il buonismo, il sentimentalismo, la melassa devono avere il sopravvento. Cosa c’è di più bello che guardare un dvd sul divano, con l’odore di mandarini nelle mani, mentre fuori piove (col sole è uguale). Sarà che ho il cuore di ricotta, ma io mi commuovo sempre davanti a una lei che soffre per amore di lui che o è vedovo con cinque figli, o è uno scapolo anche un po’ stronzo, oppure è fidanzato con un’arpia. E quando si baciano per la prima volta, magari sotto gli occhi dei bambini appostati in alto nella scala, e tutti poi vivono felici e contenti? Ecco, il Natale è l’altro lato delle cose. Se nella vita reale il vedovo con cinque figli è incavolato come una bestia, nel film il vedovo è bellissimo, coltissimo, altissimo, bonissimo. Lei invece non è una strafiga, ma i bambini l’adorano e conosce tante canzoni. Si ameranno per sempre. Perché un po’ di “per sempre”, ogni tanto, non guasta.

Un povero Cristo

di Verbena

Al ginnasio ridacchiavamo di gusto: perché gli antichi erano così stupidi da credere che potessero esistere i semidei? Mi ero fatta una strana idea degli umani nati prima di Cristo. Li immaginavo decisamente inferiori, magari più bassi della media o con dei cervelli più piccoli. L’idea che gli uomini avessero creduto alla possibilità che un mortale fosse figlio di Zeus e di una donna in carne ed ossa, mi faceva impazzire.
Sfortunati questi antichi. Sfortunati due volte, pensavo, perché tremendamente ingenui e perché nati prima del Figlio, ignari del Battesimo purificante, costretti chissà per quanti millenni astrali a giacere nel limbo.
L’altro giorno pensavo alla Madre della nostra  Santa Chiesa, cattolica e apostolica. Anche lei fecondata da un Essere superiore, anche lei madre di un uomo dai superpoteri ma costretto a morire come un brigante qualunque. Non ho riso stavolta. Ho ripensato ai miei anni di preghiere, ai catechismi mandati giù a memoria, alle confessioni lunghe e mortificanti di bambina, e al distacco laico dell’età adulta.
Sono una credente pentita, come tanti altri.
Molti guardano la grotta e vedono un presepe. Io vedo una famiglia che non arriva a fine mese. Un padre anziano deriso da tutti perché la moglie lo avrà certamente tradito. Una casa senza riscaldamenti. E un bimbo che un giorno si accorgerà di essere un diverso.
Ecco, una cosa ci ho guadagnato dalla mia ribellione ad oggi: questo povero Cristo mi sta simpatico.
Se lo avessi conosciuto duemila anni fa sarebbe diventato amico mio.

Obiettivo presidenzialismo

Silvio Berlusconi è pronto per fare dell’Italia una repubblica presidenziale, cioè per introdurre una forma di governo in cui il potere esecutivo spetta al Presidente, che è sia capo dello Stato che capo del governo.
Il premier tiene molto a questa riforma per un motivo squisitamente personale: chi meglio di lui potrebbe incarnare il mito di PRESIDENTE tutto maiuscolo? Dal momento che è molto probabile che questa rivoluzione avvenga in brevissimo tempo – dipende dal vino e dalla scollatura delle cameriere della cena di Natale –  proviamo a immaginare lo scenario.
Verrà istituito un “premio di minoranza”. Ogni tot di parlamentari persi (per sconfitte elettorali, incidenti, incarcerazioni) la minoranza pagherà pegno, regalando alla maggioranza una pedina, secondo la famosa regola Villari. Il premio avrà così un duplice vantaggio: da un lato favorirà democraticamente l’ eutanasia delle opposizioni, dall’altro fortificherà il diritto di governo del partito presidenzialmente regnante.
Il cantante Mariano Apicella sarà l’unico partecipante al nuovo Festival di Sanremo con conseguente risparmio sulle spese. Il cd della manifestazione, che non si intitolerà più TuttoSanremo, ma TuttoApicella e nun me scassà a uallara, sarà distribuito nelle scuole dove verranno studiate rime alternative alle parole “core” e “ammore”.
Le procure e i tribunali verranno riconvertiti in centrali atomiche che forniranno energia utilizzando il principio scientifico della “scissione delle prove”: verranno bruciati tutti i faldoni riguardanti i vecchi procedimenti contro il Presidente e i suoi amici, e l’energia prodotta servirà a illuminare tutte le città italiane per almeno due secoli.
Fedele Confalonieri diverrà ministro sempiterno di Cultura, Spettacolo, Pubblica Istruzione e Consigli per gli acquisti: al momento dell’investitura accetterà l’abolizione del suo cognome perché superfluo.
Marcello Dell’Utri sarà chiamato a ridisegnare un modello di federalismo che recuperi il Regno delle due Sicilie: gli amministratori locali godranno dell’appellativo di don e di una adeguata fornitura di lupare.

Grammatica da macello

Totò Rizzo ha mantenuto la promessa fatta ieri. E ha tirato fuori la foto.

Grammatica circense

Senza parole. Aggiornamento. Ho trovato le parole, me le ha suggerite Toto Rizzo: “Portate i vostri bambini al circo!!! E voi del circo, portate i vostri bambini a scuola…”

Doppio Natal

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Credo che esistano ancora due tipi di Natale italiano. Uno antropomorfo,  l’altro legato al meraviglioso mondo della flora. Nel primo caso si torna bambini: si gioca e si pasticcia col minuscolo, si ricreano universi in scala, mondi che vorremmo, profumo di mangiatoie, calore di fiamme nella notte di gelo. Nel secondo, si agisce sotto l’impulso di qualche antico culto totemico, forse ereditato da fantasmi con gli elmi cornuti e i piedi freddi, forse dagli indiani dei film di John Wayne. Insomma, sto parlando di chi, a Natale, perde la testa con il presepe e di chi invece si impelaga in studi di fisica ed estetica per arrangiare l’albero. Posso sbagliarmi ma, senza avventurarmi nelle solite classificazioni da sociologi d’accatto (il pandoro è di sinistra, il panettone di destra)  ho sempre avuto la sensazione che il presepio fosse cosa di vicolo, di case popolari, e l’albero appannaggio dei quartieri alti. Tralascio le novità del tipo “babbo natale che si arrampica sul balcone”: ho idea che li abbiano inventati per chi passa le feste agli arresti domiciliari.
Io un tempo ero “presepista”. Nel senso che appartenevo a quella categoria di bipedi che il giorno dopo l’otto di dicembre, ancora caldi di letto, in pigiama, con occhi bambini e gesti da vecchi, scivolano verso l’angolo del salotto o il ripiano del soggiorno per controllare il pasticcio di pastorelli, sugheri, laghetti di specchio circondati da muschio che hanno combinato la sera prima. Una mesta categoria di ossessivi e idealisti, nobilitata dal genio di Eduardo De Filippo. Il presepio, in quanto via di mezzo tra il bricolage e il rito apotropaico, a mio modo di vedere rispecchia – molto più dell’albero – non solo la classe sociale e la condizione economica di chi lo ha azzizzato, (per numero di pastori, qualità delle lampadine e imponenza delle montagne di sughero) ma anche il suo stato d’animo, il livello di serenità propria e di chi lo circonda, il grado di stabilità familiare.
Il mio presepio è sempre stato precario, sproporzionato, incurante della verosimiglianza prospettica: più simile a un’allucinazione espressionista che all’armonia oleografica della prima puntata del
Gesù di Zeffirelli.  Pastori zoppi, un bue formato brontosauro, un San Giuseppe minuscolo rispetto a una Madonna-matrona. Nei volti di plastica o di creta della mia natività si leggeva un velo di inquietudine. Sapevano di essere destinati, prima o poi, al tracollo. Quando i miei genitori litigavano – e spesso succedeva proprio a Natale –  il primo a subirne le conseguenze era il presepe. Una gomitata, uno sbattere di porta, un urlo più forte degli altri, e il paesaggio di Betlemme diventava uno scenario da dopobomba. Morti e feriti. Con pazienza, mi improvvisavo responsabile della protezione civile di magi, ciabattini e pecorai con l’agnello a tracolla finiti a gambe all’aria.
Ero presepista, sì, ed ero più triste di oggi. Ho sposato una donna che appartiene, per tradizione e condizione, alla categoria degli alberisti. E’ lei che mi ha introdotto nel magico, ordinato mondo dell’abete (ecologico).  Mi ha salvato la vita, credo. Ma la tentazione di mettere su un presepe che regga agli urti, mi resta.

Giustizia, un fascino perverso

Non so se ci avete fatto caso, ma c’è una recrudescenza di notizie di cronaca giudiziaria non di poco conto. Nel giro di poche ore, su e giù per lo Stivale, si è arrivati al giro di vite per un’inchiesta sugli appalti a Napoli che ha mandato in carcere un paio di assessori comunali e ha coinvolto un manipolo di altri affaristi (imprenditori e parlamentari compresi), si sono chiesti quattro anni per l’avvocato Mills in ragione di un rapporto di sudditanza nei confronti di Berlusconi, si sono indagati per bancarotta i vertici pregressi di Alitalia, si sono chiuse le indagini per l’inchiesta Why Not, si è assistito a uno scontro tra un giudice e un ministro sul destino di un essere umano in stato vegetativo.
E’ inevitabile che qualcuno – e non certo sbagliando – si interroghi sul peso della giustizia nella vita di questo Paese. E non certo per quello strapotere di cui si vagheggia, quanto per una certa indole molto italica che vuole la giustizia difesa da tutti, ma tenuta a distanza dagli interessi di ciascuno. Come i bambini vivaci: belli, cari, ma a casa d’altri. La giustizia, insomma, esercita una sorta di fascino perverso.
Sono di quella corrente di pensiero che sostiene l’importanza di una cura efficace, anche dura e dolorosa, al di sopra di qualunque palliativo. Non credo che Mani Pulite avrebbe sortito gli effetti indesiderati che ha avuto, se non ci fosse stato un cancro politico e sociale da aggredire. C’era una metastasi, si doveva ricorrere a un intervento mutilante: nessun altra via.
Tuttavia farei la figura del pesce in barile (e io odio le conserve ittiche) se dimenticassi un passaggio della lettera dell’anarchico conservatore Giuseppe Prezzolini a Giovanni Amendola: la giustizia e i suoi palazzi sono qualcosa da cui è saggio cercare di stare il più lontano possibile.
Il consiglio vale solo se lo si pronuncia con avvilimento.