Il G8 e la verità che manca

Non è lo Stato che giudica se stesso e si assolve. E’ la consecutio illogica delle verità che ci vengono propinate a destare allarme e, in molti, anche sdegno.
Per i giudici di Genova il selvaggio pestaggio nella scuola Diaz, le prove inventate, la sequela di menzogne di decine di poliziotti non furono il frutto di decisioni a “livello centrale”, ma semplice iniziativa estemporanea. O meglio: i grandi capi non sapevano (o potevano non sapere) nulla dei misfatti compiuti dalla base.
Embé – potrebbe obiettare qualcuno – è possibile.
No.
Il sistema delicatissimo sul quale si fonda la sicurezza di un paese democratico non prevede, in casi di tale rilevanza, un’assenza di responsabilità oggettiva. Qui non siamo al singolo episodio, al rimestare nel cesto delle quattro mele marce. Siamo davanti a una precisa strategia di violenza e depistaggi che ha impegnato per ore e giorni decine e decine di persone. A smanganellare nel sonno 93 giovani che nulla avevano a che vedere coi Black Bloc (è provato), a rompere costole, a spezzare nasi e a portare nello scenario del massacro finte prove di colpevolezza (le famose bottiglie molotov) non furono delinquenti con la divisa, ma uomini in divisa travestiti da delinquenti. Fu cioé – ed è la concatenazione dei fatti a spiegarlo – una strategia. Fu il contrario del buio della ragione, un’illuminazione di idee. Distruttive.
Scegliere, per sentenza, che i piani della sicurezza nazionale non sono tutti noti ai vertici delle forze dell’ordine significa mettere nero su bianco la debolezza e la vulnerabilità di uno stato. Significa dare una ragione, impura, ai pestaggi e alla fabbricazione di false prove nel nome di una ragione, più che impura, di forza legittimata dall’emergenza pregressa: gli scontri in piazza, l’assalto al carcere di Marassi da parte delle “tute nere”, l’omicidio di Carlo Giuliani. Invece tra i 93 della Diaz non c’era un solo colpevole di quelle violenze. E’ come se per catturare Riina, i Ros avessero bombardato tutto il quartiere dell’Uditore, a Palermo.
La sentenza di Genova è, nel migliore dei casi, un immenso punto interrogativo al termine di un’inchiesta condotta male. Si cercava il terzo livello e ci si è dovuti accontentare di uno scantinato. Con buona pace del diritto, della giustizia e del residuo di speranza che ci rende ancora cittadini civili.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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