L’accendino di Betlemme

Nel caldo africano di quel giorno d’estate ho ripensato a Betlemme e ho scelto di rimanere ancora un po’ senza l’accendino.
Ho girato e rigirato tra le mani le mie sigarette slim, le ho annusate e ho il percepito il peso di una viziosa “quasi felicità”, legata a un’assenza.
Quando ho conosciuto Betlemme mi hanno colpita le sue dita nerissime e affusolate, che rigiravano otto sigarette nazionali.
“La mia dose quotidiana di felicità” mi ha detto quando abbiamo iniziato quella che doveva essere un’intervista, ma che presto si è trasformata in una serie di rimandi, filtrati dallo sguardo di zucchero filato dell’interprete.
Al CPA di Lampedusa c’è un filtro per tutte le cose, anche per giocare a pallone nelle ore d’aria.
Betlemme ha gli occhi che guardano costantemente altrove, le labbra carnose e quella formosità, invidiabilmente imperfetta, che è solo delle donne d’Africa.
“I’m from Nigeria. I want a job, honest or dishonest, but I want a job”.
Gli occhi le luccicavano quasi vi avessero nidificato dentro eserciti di moscerini.
“E’ solo stanca, le passerà”, ha sussurrato l’inteprete, con il sorriso di ceralacca.
Betlemme mi ha guardata, e ricominciato: “Freedom and job, freedom and job”.
Si è rigirata tra le mani le otto sigarette, ne ha poggiata una sulle labbra, si è guardata intorno. A gesti mi ha chiesto se avessi da accendere. Ho frugato nervosamente tra le mie cose, ma non ho trovato l’accendino: l’avevo dimenticato in macchina.
Betlemme ha iniziato a parlare veloce, pareva avesse il timore che la sua confidenza potesse essere assalita da qualcuno, da qualcosa.
“Ci danno le sigarette – ha detto – ma qui nessuno ha mai da accendere…”.
Ha lasciato in sospeso la frase.
Sono andata via, salutando frettolosamente lei e l’interprete. Ho scelto di non incrociare gli occhi di cobalto di Betlemme. Certi sguardi hanno la pretesa di volerci rimanere incollati addosso e di farci da grillo parlante, quando abbiamo poche cose da raccontare a noi stessi.
Prima di uscire dal centro, un giovane clandestino mi ha domandato se avessi una biro. Quella è sempre a portata di mano. Gli ho fatto cenno che poteva tenerla. Nel fargli quel minuscolo regalo ho sentito un peso in meno sulla mia pelle, troppo chiara per sopportare quel sole mezzo siculo e mezzo africano.
Salita in macchina, ho trovato l’accendino, ma al primo cassonetto l’ho buttato via. Ho scelto di rimanere senza, anche solo per un giorno. E so bene che mi sarebbe bastato fermare qualcuno per strada per poter accendere. Per Betlemme non è così.
Fosse solo quell’accendino a chiuderle le porte della felicità forse i suoi occhi sarebbero meno annacquati, o forse ha ragione l’interprete: “E’ solo un po’ stanca, le passerà…”.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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