Meglio viva

Mia nonna, anni fa, mi raccontava che quando mia madre era in età da primo fidanzatino – o da flirt, come si diceva allora – le raccomandava sempre: “Non ti concedere presto, aspetta il momento giusto, aspetta l’amore vero. E se, via via che vi frequenterete, lui tornerà alla carica, insisterà, tu temporeggia. Poi, quando sarai sicura e verrà il momento, sarà più bello”.
Io non ho ricevuto da mia madre raccomandazioni simili. O se non altro non così dichiarate. Ma il concetto del preservarsi, che poi venisse osservato o disatteso, una madre con figlie della mia generazione lo faceva passare comunque. Meno detto, meno raccomandato, ma ugualmente veicolato in qualche modo.
Facendo un ampio salto temporale, la cronaca recente ci ha sommersi di casi in cui l’amore – inteso come desiderio, come sentimento o come sesso – certi uomini, in un numero che cresce come un bollettino di guerra, se lo conquistano e se lo tengono non con l’amore, ma con la forza. Forza di calci, pugni, morsi, segregazione, corde, coltelli, pistole. Penso a criminali come Luca Delfino, accusato di avere ucciso la sua ultima fidanzata e forse anche una precedente. Ragazze che non lo volevano più, che cercavano di chiudere la storia come tante se ne chiudono. Ragazze che, prima di quel momento, avevano subito i suoi calci, i suoi pugni, i suoi morsi, la sua segregazione, le sue corde, materiali o immateriali. E che dopo, in questo caso, l’ultimo gesto di quell’uomo che hanno raccolto (anzi, per il momento, “avrebbero”, perché se è andata così lo diranno le sentenze, anche se in un caso Delfino è stato colto sul fatto) sono state le sue coltellate. E questo è uno solo degli episodi – ormai così numerosi da fare crudele e troppo consistente statistica – in cui l’amore che si dà o che a un certo punto non si vuole più concedere oppure che non si è mai concesso viene “trattenuto”, e per sempre, in questo modo. Con calci, pugni, coltelli, pistole.
Mi chiedo, se mia nonna e mia madre fossero oggi una madre giovane e una figlia adolescente, quale sarebbe la “traduzione” attuale di quel discorso tenero, retrò e forse un po’ ingenuo che all’epoca di quel primo flirt fecero tra loro. O se quel discorso dovesse affrontarlo una madre dei nostri tempi. Cosa direbbe? Se dovesse pensare per un attimo a quei legittimi “no” di donne che l’aberrazione di certi (molti, troppi) uomini ha affogato in (molte, troppe) pozze di sangue, forse – non sapendo quale uomo sua figlia potrebbe incontrare – si sentirebbe di consigliarle: “Concediti, amore mio, e non opporre mai resistenza”. Meglio una figlia viva che vergine un po’ più a lungo.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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