Nostalgia canaglia

Questo discorso, mia suocera avrebbe voluto pronunciarlo dal balcone di Palazzo Venezia. Gliel’ho letto negli occhi quel desiderio nostalgico. Invece domenica eravamo a un qualsiasi tavolo di ristorante. Rogna del giorno: le sue badanti. Una, di mezza età, la mattina le riordina la casa e le prepara da mangiare. Cinque giorni a settimana. Un’altra, non molto più giovane d’età ma acerba nell’abbigliamento, due pomeriggi su sette la porta in giro per una passeggiata su ruote (di macchina). La bestia nera di mia suocera è la seconda.
“Manco mi ricordo come si chiama, quella là”. Sguardo pensoso. Occhi che roteano. Poi la soluzione: “Ah, sì, Frencesca!”. E dire che si chiama Francesca/Frencesca anche lei. Mia suocera, intendo.
Frencesca, e stavolta mi riferisco alla badante, la sto proponendo per la beatificazione. Porta in giro l’arzillissima vecchietta anche tre ore oltre il dovuto, e il pagato. Spesso la fa cenare a casa sua. Le ha comprato una decina di borse, un paio d’occhiali, due o tre maglioni. A spese proprie.
“Tutte ruffianerie”, tuona mia suocera se le ricordo questo affetto gratis. “A quella la devo redimere. Per la servitù ci vogliono metodi duri”.
La servitù? Siamo a Buckingham Palace?
“Sì. Mio marito in vita mia non mi ha mai fatto mancare la serva”.
No, no. Forse parliamo di colonie libiche di mussoliniana memoria.
“Ogni giorno veniva a casa. E io la facevo ubbidire”.
Non risulta alle cronache che mia suocera abbia mai avuto una colf.
“Rigare dritto, devono. Sennò finisce come Frencesca, che mi mette i piedi in testa. Siccome lavora pure con gli anziani del Comune, a lei ci pare che io sono un’anziana del Comune… una vecchia comune… e quindi cerca di convincermi a fare quello che vuole. Invece lo deve capire chi è una vera signora e chi no”.
E siamo tornati a Buckingham Palace.
“Mi vuole portare al centro anziani, a ballare. In mezzo ai vecchi! A me? Ma la faccio ballare io, a questa qua!”.
Con la frusta? A suon di nerbate sui piedi?
“Rigore ci vuole. E, per favore, se ’sta Frencesca se ne va, non voglio assolutamente mericchini in casa (marocchini, nda). Io, nei mericchini, al massimo mi vado a comprare la bigiotteria”.
La vituperata badante Frencesca non ce la fa più. Vuole svoltare. E’ lei che, negli ultimi tempi, tenta di redimere mia suocera. Le vuole dare una svecchiata. Le ha comprato una felpa con cerniera che avvolge i suoi novanta chili per un metro e mezzo, gamba corta su piede minuscolo. Da una parte della chiusura lampo c’è scritto “base” e dall’altra “ball”. Baseball, già. Nero su bianco, letteralmente. E su polsi, collo e orlo, vistose strisce, sempre bianconere. Il tutto completato da fuseaux, calzini candidi e zoccoli neri con i buchi. La svecchiata di Frencesca parte dall’aspetto. Forse per arrivare alle idee.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *