Un favoreggiamento così così

Cuffaro, condannato a 5 anni ma non per mafia, resta al suo posto e manifesta soddisfazione. Se non fosse troppo lungo – i giornali non sono lenzuoli – potrebbe essere il titolo ideale per riassumere la vicenda che ieri è sfociata nella sentenza di Palermo. In questo titolo infatti c’è la notizia, c’è la puzza della questione morale, c’è il riflesso di un rapporto catastrofico tra politica e giustizia, c’è il grottesco. E, diciamolo, c’è anche quel tanto di pirandellismo che ci ricorda chi siamo, da dove veniamo e dove, si spera, non andremo a finire.
Il governatore della Sicilia, peso massimo dell’Udc, si è visto infliggere 5 anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (pena sospesa) per aver favorito personalmente una fuga di notizie a favore di un indagato per mafia. Un favoreggiamento niente male. Appare chiaro che favorire una persona qualunque è una cosa, favorire un presunto boss è un’altra. E’ probabilmente sulla scia di questo ragionamento che i giudici, pur non riconoscendo l’“utilità” del governatore nei confronti di Cosa nostra, hanno usato la mano pesante. Resta da capire come si può argomentare giuridicamente che l’adoperarsi per un mafioso non rappresenti un atto estendibile a tutta la sua consorteria criminale.
L’unica cosa che, inequivocabilmente, la sentenza ha sancito è che c’era una rete di talpe alla procura di Palermo. Non erano talpe da poco e non si scambiavano informazioni sulla migliore pasta con le sarde della città.
Il commosso trionfalismo con cui Salvatore Cuffaro ha accolto la sentenza mi ha irritato, perché è una furbaggine di politicaccia vecchia. Equivale a dire “gol!”, quando il pallone è dentro la propria rete: gli spettatori non sono scemi, e quelli paganti possono incazzarsi.
Il fiume di reazioni soddisfatte alla sentenza ha fatto il resto. Casini, Cesa (Cesa, ve lo ricordate? Proprio lui), Berlusconi… Una politica civile avrebbe manifestato, con libertà, il proprio affetto, la propria vicinanza, la propria stima a un imputato condannato (seppur a una pena inferiore a quella richiesta dall’accusa) e si sarebbe astenuta dal peana. Proprio per l’assoluta mancanza di argomenti: il lieto evento da celebrare, il soggetto da encomiare, la vittoria da festeggiare.
Su queste basi non stupisce la fragile architettura logico-poltronistica che Cuffaro ha messo su per non dimettersi. Siccome aveva detto che se ne andava solo in caso di condanna per favoreggiamento di tipo mafioso, non se ne va. Come dire: si può rubare in tutti i supermarket, tranne che in uno.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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