Ancora su Sofri

Vi chiedo scusa, ma almeno per un giorno devo tornare sul caso Sofri. Alcune e-mail e post ricevuti mi impongono una precisazione.
Partiamo da un principio. Messi di fronte, Luigi Calabresi e Adriano Sofri non hanno lo stesso peso, non possono averlo: perché il primo è terra, il secondo è carne.
Per quanto riguarda Sofri, il mio amico Davide Camarrone mi rimprovera di piegare il mio giudizio alla “formalità di una condanna” molto controversa. Ho già detto che la vicenda è complicatissima, e ne ho piena contezza. Però credo che banalmente ci si debba piegare, a un certo punto, a una verità giudiziaria: altrimenti si va incontro alla destabilizzazione dei ruoli.
E’ un mio problema. E mi spiego: se io non riconoscessi la colpevolezza di Sofri – che è scritta in una sentenza che può apparire a molti detestabile – negherei l’esistenza di un giudizio terreno. E ciò si ripercuoterebbe in ogni ambito in cui sono chiamato a rispettare una regola. Perché non riconoscerei più una fine, un punto di arrivo. Sofri per la legge italiana è colpevole, pur essendo un intellettuale, pur professando la sua innocenza, pur affrontando la pena con dignità. Se lo Stato, l’istituzione somma, deciderà di alleggerire il suo fardello mi inchinerò alla decisione.
Il commissario Luigi Calabresi è stato scagionato post mortem da ogni responsabilità per la tragica fine dell’anarchico Pinelli: si è accertato che lui non era neanche in quella sua stanza quando quel povero ragazzo volò dalla finestra. Si continua – anche sui muri delle città, nei cortei, nelle discussioni da sedicenti post-sessantottini – a sommare i cognomi: Calabresi + Pinelli= giustificata vendetta.
Certi editoriali di Lotta Continua sono stati, come metafora di una violenza senza nessuna ragione storica, una vergogna di questo paese. Il revisionismo degli anni Settanta – e mi scuso per il linguaggio – è un grappolo di emorroidi in un deretano sfondato di menzogne travestite da rivoluzioni.
E’ possibile che Sofri sia una vittima innocente di un sonno della giustizia che partorisce mostri.
E’ certo che il commissario Calabresi e gli altri che hanno fatto la sua stessa fine (professori universitari, giornalisti, operai, sindacalisti, carabinieri, poliziotti…) sono vittime innocenti del sonno di una ragione malata.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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