Mercoledì a Palermo

Comunicazione di servizio. Dopo il dibattito sul network cittadino Wi-fi che si è sviluppato su questo blog nei giorni scorsi, il presidente dell’Ars Gianfranco Micciche ha comunicato i costi dell’operazione: 10.000 euro circa per l’infrastruttura, più un canone annuo di 3.000 euro.
Ma soprattutto ha annunciato che il servizio sarà attivo da mercoledì 3 ottobre a Palermo, in piazza Magione.
Ci vediamo lì a mezzogiorno, con computer, telecamere e macchine fotografiche.

Garlasco e la giustizia astemia

Gli ultimi sviluppi del giallo di Garlasco dovrebbero insegnarci, o ricordarci, alcune cose.
Primo. L’arresto preventivo non è un gol, ma un provvedimento doloroso, spesso giustificato anche se non sempre condivisibile. E’ un atto regolamentato, previsto dalla legge e contemplato da strategie investigative.
Secondo. Nel sistema italiano occorrono meno prove per ottenere una custodia cautelare che per ottenere una condanna. E ciò, nonostante l’apparente paradosso, è un bene. La custodia cautelare è solo una tappa di un’indagine, la sentenza è un punto di arrivo.
Terzo. Non c’è nulla di scandaloso se in un’inchiesta cosi delicata come quella su un omicidio una persona finisce sotto la spasmodica attenzione degli investigatori. E’ un’esperienza terribile per l’indagato, se è innocente, ma l’obiettivo degli inquirenti deve essere quello di arrivare alla soluzione il più presto possibile. E’ plausibile che il magistrato ritenga opportuno, in presenza di indizi gravi, effettuare un pressing psicologico sul sospettato.
Quarto. Gli indizi non sono prove.
Quinto. Se un giudice non convalida un fermo o boccia un arresto non vuol dire che l’indagato è stato assolto, così come il fatto che sia stato arrestato non deve voler dire che è colpevole. La colpevolezza preventiva è una piaga sociale e giornalistica. L’assoluzione preventiva avvelena i sani principi del garantismo.
Sesto. Nello specifico, Alberto Stasi è il colpevole/innocente ideale perché è personaggio. Muto e freddo, può essere etichettato, a seconda dell’umore degli opinionisti e della quantità di birra servita al Bar dello Sport, come spietato o come prudente. Ma la Giustizia non risente degli umori ed è astemia.

Birmania

In un posto lontano adesso ci sono monaci che combattono a mani in alto contro i fucili dei militari. La nonviolenza contro la protervia di un regime che considera pericolosi rivoluzionari i nonviolenti.
Di quel posto lontano abbiamo poche immagini perché persino il web è stato oscurato. Ai giornalisti lì si spara.
Oggi tutto il mondo si veste di rosso contro quel regime malvagio che va estirpato senza esitazione.

Modello americano

Si chiama pistola Taser ed è nota al grande pubblico italiano dalla scorsa settimana, da quando è stato diffuso il video di un giovane universitario della Florida “trattato” con questo metodo dalla polizia solo perché aveva rivolto qualche domanda scomoda al senatore democratico John Kerry. Pochi giorni dopo un altro video proposto dalla Cnn ci ha dato ulteriore dimostrazione dell’affidabilità di quest’arma: in questo caso una trentottenne è stata “trattata” da uno zelante agente dell’Hoio perché, dopo un alterco con un barista, non voleva farsi picchiare troppo volentieri dall’uomo in uniforme.
La pistola Taser è un’arma che lancia scariche elettriche ad alta tensione. E’ in dotazione alle forze di polizia americane dal Duemila ed è un marchio registrato dall’azienda omonima che, nel suo documentatissimo sito, spiega che il voltaggio non deve fare paura (50.000 volts) perché l’amperaggio (cioè l’intensità) è basso. Mi sarebbe utile il parere di un fisico.
Intanto leggo che, secondo Amnesty International, negli Usa solo nel 2007 si sono verificate 70 morti a causa della pistola elettrica. Per la Taser International Inc. ovviamente sono bugie. Il laboratorio di ricerca dell’Aviazione statunitense dice invece che, nei soggetti colpiti, si sono verificati casi di variazione del Ph sanguigno tali da provocare arresti cardiaci. La Taser International Inc. non si scompone: quelli dell’aviazione – che pure sono loro clienti – non capiscono un tubo di pistole.
Il battage pubblicitario messo su per il lancio di queste armi, disponibili in un’infinità di modelli, ha visto coinvolti molti personaggi dello star system hollywoodiano: tutti a farsi dare la scossa sul culetto, davanti alle telecamere, a gridare di dolore e a riprendersi prima possibile grazie all’anestetico del cachet.
Il sistema americano, che si inturgidisce se si parla di sicurezza tranne quando c’è da difendere vecchi amici di famiglia del Presidente, giustifica l’uso delle pistole Taser con la minore pericolosità rispetto alle armi tradizionali. Certo, le Beretta non sparano palline di pane, ma qualcuno dovrebbe pur riflettere sulla disinvoltura con la quale anonimi agenti sfogano la propria aggressività impugnando l’arnese da 50.000 volts e schiacciando il grilletto.
Giudicate dopo aver visto i filmati linkati sopra.

La nuova politica

Ieri abbiamo parlato di tecnologia applicata all’immagine virtuale di una regione, anzi Regione. Ci è stato spiegato che la Sicilia su Second Life è un’occasione di promozione importante e che i costi di un esperimento di Wi-Fi (cioè una rete di collegamento internet senza fili) cittadino sono contenuti: diecimila euro. Mi hanno chiesto: diecimila ogni quanto? Al mese? All’anno? Per sempre? Aggiungo: A chi? E come si è arrivati al chi?
Domande semplici, pura curiosità di cittadino. Magari da qualche parte queste risposte ci sono e a me, ma anche ad altri, sono sfuggite. In campo di fondi pubblici comunque mi pare opportuno specificare e, se è il caso, ripetersi.
La comunicazione tra centri di potere e cittadini è il punto cruciale della politica dei nostri tempi. Penso che una linea chiara e paritaria sia l’unica soluzione per ricucire lo strappo nel tessuto della fiducia. A scuola ci hanno insegnato che il ministro è, secondo i padri latini, il servitore: fin qui molti onorevoli hanno spadroneggiato in nome e per conto di quel popolo che li stipendia, irritandosi quando è stata chiesta loro qualche spiegazione (persino da parte della magistratura). Ora siamo a una svolta. Se una carica istituzionale accende un computer e si collega a un qualunque sito che parla di lui (con lui o per lui), ha l’occasione di intervenire direttamente e precisare, spiegare, correggere. In nome e per conto del suo committente, cioè noi. Nell’ipotetico orario di lavoro di un esponente politico dovrebbero essere contemplati meno cocktail e più web; meno sonnellini in aula e più libri; meno estenuanti vertici di partito (spesso vere tombe della ragione) e più appunti quotidiani di cose da fare; meno show in tv e più dibattiti di piazza.
Non è Grillo che ci salverà dalla malapolitica, ma un orologio segnatempo (anche virtuale, sì) nel quale gli onorevoli timbreranno il cartellino della loro presenza effettiva. Ognuno con la propria cartella d’appunti, con un programma da rispettare, che sia su Second Life o in commissione legislativa.
Nel Settecento quelli che difendevano il troppo vecchio e quelli che annunciavano il troppo nuovo venivano bollati, allo stesso modo, di eresia. Oggi viviamo di annunci del troppo vecchio e di difesa del troppo nuovo: l’unica vera eresia è signoreggiare nella cosa pubblica quando non si è padroni.
Comunichiamo, gente, comunichiamo.

Gentile presidente Miccichè

Gentile presidente Gianfranco Miccichè, lei è la più alta carica dell’Ars, il parlamento siciliano, tra i più antichi del mondo. Recentemente ha scritto nel suo blog, e confermato in altre interviste, di voler far debuttare la Sicilia su Second Life. Non mi unisco al coro dei soliti disfattisti che rispolverano sempre problemi antichi (insoluti) quando si parla di idee moderne, anche se mi ha fatto sorridere la battuta di un blogger su Rosalio che, parafrasata, suonava così: prima di pensare alla second, pensiamo alla prima life.
Bando agli scherzi, la tecnologia e l’innovazione non sono surrogati, né vernice coprente della realtà quindi smettiamola con i piagnistei: la mafia, la disoccupazione, la siccità e il traffico non si sentono trascurati se si dà più forza al silicio e ai circuiti stampati.
Le scrivo dal mio piccolo blog perché qui c’è la certezza di rimanere in tema e c’è il mio personale impegno affinché tutti i commenti fuori argomento (in gergo internettiano OT) vengano evitati. Parliamo di tecnologia, di immagine virtuale della Sicilia, di risorse economiche destinate a questi settori.
Con l’operazione Second Life lei dice, anzi scrive, di voler coinvolgere “i cittadini in un processo di democrazia partecipativa” all’interno del “metamondo”. Ottima idea. Ma quanti cittadini hanno accesso alla rete senza problemi? E’ più importante una realtà virtuale con tanti commessi-avatar, mostre in alta risoluzione e banner assessoriali o una connessione con mezzi efficienti, tariffe eque e soprattutto al passo con le altre città europee?
Lei, gentile presidente, ha promesso un network Wi-Fi cittadino e leggo che entro due settimane partirà un servizio sperimentale in piazza Magione a Palermo. Favoloso, me lo segno. Possiamo sapere in modo chiaro quali sono i costi di questa operazione così da poter giudicare in modo sereno e soprattutto completo?
E, a proposito di costi, ci può dire a cosa stiamo rinunciando (perché la coperta è stretta, si sa) per lanciarci nell’avventura di Second Life?
Nel “metamondo”, che è già una parola poco digeribile in una regione che di “metà” sopravvive, dobbiamo dare immagini complete e aderenti alla realtà. Che specchio è quello che non riflette, ma deforma?
Ecco, gentile presidente, mi piace pensare che l’immagine virtuale della Sicilia che lei ha in mente sia quanto più veritiera possibile: con i tesori dell’Isola e con i pirati che le sono nemici, con le risorse e con i limiti che dovranno essere eliminati, con la storia dei grandi e con l’elenco degli ignobili, con le promesse in evidenza al pari degli errori da non ripetere mai più.
Solo così dimostrerà di aver indirizzato la medesima attenzione alla prima e alla second life.

Aggiornamento.
La risposta del presidente Gianfranco Miccichè.
Buongiorno
per quanto riguarda SL ribadisco quanto già detto….per quanto riguarda i costi di piazza magione si attestano attorno ai 10000€ che è al mio modo di vedere un costo basso per un servizio del genere…

saluti

Gianfranco Miccichè

La polemica sul fondoschiena

Apprendo che nei giorni della mia assenza si è sviluppata una polemica sul culo delle concorrenti di Miss Italia. Un giurato ha esternato la sua pulsione di vedere anche il fondoschiena delle concorrenti e ha innescato un dibattito nazionale sul tema. Ho letto critiche sdegnate, ho letto richiami al rispetto della donna, ho letto interventi di Grandi Firme, ho letto infine una marea di stupidaggini.
Fatta salva la risata per la goliardata del giurato – che era la reazione più consona che un Paese normale avrebbe dovuto riservare all’argomento – cosa ci si aspetta da un concorso di bellezza? Sorprese, leggerezza e, perché no?, stupidaggini.
Una volta, molti anni fa, mi capitò di scrivere su un concorso che aveva l’ardire di intitolarsi “Una checca per l’estate”. Mi commissionarono un pezzo ironico, anche di sfottò. Mi ritrovai invece a scrivere una cronaca crudele, e soprattutto seria. Come seria può essere una manifestazione del genere. Ricevetti – e fu l’unica volta – diverse lettere di complimenti che provenivano dalle/dai concorrenti. Le conservo ancora.
I concorsi di bellezza, in ogni latitudine, insegnano una sola cosa: l’aspetto fisico è carta d’identità e sbozzo di moralismi, è orgoglio e vergogna, è alcol dei sensi e valeriana della ragione. Pretendere che una miss abbia un bel culo è un diritto. Far finta di giudicarla dallo sguardo, un’ipocrisia pelosa.
Evitiamo i primi piani per via della fascia protetta, tanto chi guarda programmi simili sbircia senza tante storie. Però non facciamone un argomento serio su cui perdere tempo. Di culi in mostra parliamo, eh!

Breve assenza

Qualche giorno di assenza per motivi di lavoro. Appuntamento a lunedì prossimo. E mi raccomando, non fate troppo casino!

La lezione dei meetup

Avevo deciso di cercare un argomento diverso per il post di oggi, con fatica lo avevo anche trovato. Poi ho riletto i commenti al mio temino di ieri e ho capito che c’è ancora qualcosa che dobbiamo dirci. Il bello di un blog è la libertà assoluta di chi lo gestisce (io, nel mio piccolo) e di chi lo rende vivo (voi!). Allora proviamo a essere chiari, tanto siamo tutti maggiorenni e soprattutto resistenti agli incantatori.
L’onda populista che rischia di sommergere i partiti è più pericolosa della malapolitica che allaga il nostro Paese. E ciò non solo perché, come dice D’Alema, se spariscono i partiti arrivano i militari, ma perché, per parafrasare Napoletano, l’antipolitica è nemica di uno stato democratico. Ci sono due termini che, in questi giorni, puntellano la cronaca traballante di giornali e (alcune) tv: uno l’ho citato poco sopra ed è populismo, l’altro è qualunquismo. Il primo è riferito all’effetto, il secondo alla causa. Solo che il primo s’attaglia alla realtà, il secondo no. Se infatti il populismo è tragicamente palpabile nelle conferenze stampa, nelle chiacchiere da bar, nelle dichiarazioni pubbliche e nei dibattiti da tinello, il qualunquismo è lontano dal popolo dei meetup, vero motore della rivoluzione vaffanculista. Andatevi a rivedere la puntata di Primo Piano di due giorni fa e vi accorgerete che questa gente è impegnata da anni in lotte sociali e politiche, dal basso, con una sovrannaturale forza di volontà e soprattutto con o senza Grillo.
Come si possono bollare di qualunquismo persone così?
Ecco, di questa gente io mi fido. E’ questa la gente che voterei in qualsiasi lista civica. E’ questa la gente che conosce meglio di altri la realtà in cui vive e che meglio di altri può gestirla amministrativamente. E’ questa gente che può permettersi di prendere per un orecchio il premier Prodi quando spara che “la società non è migliore della sua classe politica”.
La classe politica deve essere migliore della società, per contratto, caro Presidente. Evidentemente lei ha le idee molto confuse o fa il birichino. Vada a scuola dai meetup di Napoli e stia dietro la lavagna per un po’.

Il governo del popolo

Grillo che fa politica mi diverte come Prodi che fa il comico, cioè pochissimo. Ma è un mio difetto: sono sempre stato per una precisa separazione di ruoli, carriere, ambiti. Mi piacerebbe vivere in un mondo di specializzati, dove ognuno ha una competenza (tecnica, umana, spirituale) e dove per trasmigrare da un campo all’altro ci vogliono, esami, riflessioni, giudizi qualificati e prove, prove, prove.
Esempio. Se un professionista vuole tentare la carriera politica, deve presentare un programma che non sia un temino delle scuole elementari, ma una bibbia delle sue azioni presenti, future e passate. Vuole abbassare le tasse? Dimostri di averle pagate sempre e correttamente. Vuole rilanciare il mercato immobiliare? Paghi il suo affitto (o il suo mutuo, o entrambi) come gli altri umani, senza privilegi di casta. Vuole lanciarsi in una campagna di legalità a tolleranza zero? Presenti tutte le ricevute delle multe pagate da quando ha preso la patente.
A parte la fondatezza di molte critiche mosse da Beppe Grillo al sistema politico italiano, trovo la sua iniziativa delle liste civiche zoppa dalla nascita. Un governo del popolo, inteso come massa che diventa ora deputato, ora ministro, ora sottosegretario, è un autobus con cento autisti e nessun passeggero. Un governo in nome del popolo è altra cosa: è la politica più seria ed efficace che guida il Paese (i passeggeri) e che sceglie con autonomia dove fermarsi e dove accelerare.
Per guadagnare fiducia, un governo – nel segno della specializzazione delle teste che lo compongono – deve fare scelte impopolari.
E il popolo che fa scelte impopolari non è solo un bisticcio linguistico, è un’utopia che va dritta al caos.